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Le "sante vive"



Le "sante vive" sono definite al femminile di proposito: questo non significa che non c'erano uomini; le sante vive sono persone che in vita vengono già considerate sante; sono persone che da vivi erano considerati tali dal loro entourage, da chi li conosceva. Per fare qualche esempio, San Benedetto il moro, che era considerato santo vivo; nel suo eremo accoglieva un sacco di gente che chiedeva al santo di porre le mani sulle parti malate del corpo e, dopo la posizione delle mani e dopo una preghiera, questi ritenevano di aver ottenuto una guarigione e dunque un miracolo. Il santo vivo è quello che, da vivo, fa miracoli. Ci sono anche uomini e non si fanno solo miracoli di taumaturgia/guarigione anche se questi sono i miracoli tipici dei santi del '600 (secolo dei santi e dei miracoli di guarigione) ma ci sono altri miracoli che questi santi riescono a fare, come le premonizioni del futuro, per la stessa ragione per cui si andava dall'astrologo che leggeva gli astri e da essi sapeva indovinare il futuro, alla stesa stregua si andava dal presunto santo per farsi dire il futuro. Ci sono santi vivi che possono fare anche miracoli di resurrezione dei morti, anche se la Chiesa non crede a questo tipo di miracolo, nonostante le testimonianze (esempio, san Benedetto il moro fa resuscitare un bambino a Santa Maria di Gesù).
La Chiesa era la più severa scrutatrice dei miracoli: per centinaia di miracoli che vengono testimoniati nei processi di canonizzazione, alla fine solo due di questi sono verificati, mentre gli altri non reggono alla critica della Chiesa, perché inconsistenti. In particolare, la Chiesa è molto diffidente nel caso della resurrezione dei morti e questo si capisce leggendo i libri del '500/'600 di medicina legale: in uno dei più famosi, Paolo Zacchìa medico del papa, scrive di medicina forense (non solo per i tribunali secolari, ma anche per i tribunali ecclesiastici), ci si rende conto della grande difficoltà della medicina del '600 a definire qual è il punto di morte: quando si può considerare una persona morta davvero? Come si fa per accertare che questa morte sia definitiva? La letteratura del Settecento, quella gotica, è ossessionata infatti dall'immagine di persone che si svegliano nella tomba. Questa paura viene alimentata dal fatto che, facendo trasfusioni di sangue, si trovano per esempio, legni delle casse e bare graffiate da persone che cercavano di liberarsi. Questa cosa è legata anche al numero di giorni in cui si tengono i morti in casa; Zacchia dice che per vedere se una persona è davvero morta, si controlla il battito, si avvicina una candela accesa alle narici per vedere se c'è respiro, oppure una piuma.
Siamo dunque all'interno di un empirismo a volte comico, ma è anche un problema posto dai medici rianimatori quando devono fare l'espianto degli organi.
I santi vivi sanno fare molte cose e vengono considerati tali dai loro soci, da quelli cioè che sono con loro "in societate": se sono frati dai confratelli nel convento, se sono laici dalle persone che hanno ricevuto la grazia. Ci sono una seria di persone che vengono considerati santi vivi, ma tra questi sono molte le donne. Queste sante vive sono molto spesso all'interno dei monasteri, e non si deve pensare a donne poco importanti che svolgono funzioni solo all'interno del convento, ma si deve pensare a sante come Caterina da Siena o Teresa D'Avila che venivano considerate sante dai principi, dai re e a loro chiedevano consiglio per orientare le loro scelte politiche. C'è un concetto molto ampio di santità in vita e questi santi vivi poi continueranno a fare le cose che facevano da vivi quando moriranno per il tramite delle loro reliquie (abito, saio o altri oggetti appartenenti a loro, o ancora la terra dove si trova il sepolcro).
Le Sante vive furono giudicate dal Sant'Uffizio romano, furono in tutto 95 tra il 1581 e il 1791. Queste sono importanti perché i santi fanno miracoli, grazie, ma per essere riconosciuti hanno bisogno di manifestare una serie di caratteristiche che sono uguali per tutti, sempre le stesse e di cui fanno parte le estasi, i rapimenti oppure l'improvvisa illuminazione del capo, quasi a voler prefigurare l'aureola futura. Sono delle persone che mortificano il proprio corpo in tutti i modi, ad esempio il cilicio (una cintura, una stringa di cuoio o una fune dove vengono inseriti dei corpi acuminati, come pezzi di vetro o chiodi) che procura sofferenza, mortifica il corpo oppure si applicano le cosiddette "discipline": la disciplina è una frusta con cui i santi si colpiscono fino a far uscire il sangue all'interno delle loro celle e si concentrano nella preghiera. Tra le mortificazioni del corpo c'è anche il fatto di dormire per terra, dormire poco o niente per vegliare, di mangiare poco, preferire pane e acqua, aggiungere la cenere al cibo insomma una serie di cose che tendono a non esercitare i cinque sensi che sono le cinque porte attraverso cui il diavolo introduce il peccato. Quindi non si esercitano i cinque sensi, ci si mortifica fino ad arrivare a cose molto cruente, perché deve avvenire la mortificazione e l'abbassamento dell'io in tutte le sue manifestazioni. Tutto ciò si fa perché con la mortificazione dell'io emerge la supremazia del principio spirituale: lo spirito mortifica la materia, e così si emancipa dall'attrazione dalle cose mondane a cui la materialità del corpo, attraverso i cinque sensi, continuamente vira. Questo dunque dimostra un atteggiamento repressivo nei confronti del corpo che queste sante vive hanno. Associato a questo, spesso si ha anche una regressione ad uno stato infantile: molte di queste sante vengono descritte come bambine, cioè innocenti, fanciulle e questo comportamento veniva manifestato come una forma di "santità" (esempio, Bernando da Corleone per dimostrare una "semplicità colombina" girava per il convento imitando il verso della colomba).
Tra le varie manifestazioni mistiche, oltre ai rapimenti e le estasi, ci sono anche le stigmate che la chiesa guarda con grande sospetto. La chiesa è la più severa nel censurare tutte queste manifestazioni. Tutto ciò arriva a noi grazie ai dati di 100 sante vive sotto processo: il Santo Uffizio le processa questa sua attività ha finito per spegnere il desiderio di santità di tutte queste donne. Vengono processate perché il reato perseguito è quello di affettata santità, cioè fare finta di essere santa, è un inganno da parte di queste donne che fingono di avere determinate manifestazioni per poter essere riconosciute come sante dalle consorelle e magari finire sugli altari. L'affettata santità è insomma una forma di inganno e, nel corso dei processi, vengono fuori una serie di atteggiamenti che vengono ricondotti all'ambizione di queste monache che voglio diventare badesse e c'è perfino un caso di una monaca toscana in cui emerge per la prima volta, all'interno della documentazione, una pratica di omosessualità femminile (sono due monache lesbiche). L'omosessualità femminile è molto rara, infatti si parla di sodomia non di lesbismo, perché è normale che le donne stiano con altre donne, anzi devono ed è raccomandabile, il peccaminoso sta con gli uomini. Piuttosto che come peccato come la sodomia, viene considerata una "mollizia", quindi non ha lo stesso peso della sodomia maschile perché non comprende la penetrazione. La sessualità femminile sfrenata è quella che induce l'uomo al peccato, dunque questa sessualità è tipica delle streghe (il sabba rappresenta l'enfasi della sessualità e l'accoppiamento con il diavolo).
La chiesa dunque è molto sospettosa nei confronti delle sante vive e, normalmente, accanto alle sante vive, viene messo un direttore spirituale, che è il confessore della santa. Le sante spesso sono obbligate a scrivere, se lo sanno fare, le loro visioni e i loro pensieri.

Tra le sante vive bisogna considerare anche le mistiche del quietismo, quietismo già visto in Sicilia, è un movimento religioso ispirato dallo spagnolo Miguel de Molinos che scrive una "guida spirituale" attraverso cui insegna ai suoi lettori come fare la preghiera di quiete, cioè la preghiera che consente di raggiungere la quiete e consente di annullare la volontà in maniera interiorizzata, attraverso un lavoro interiore. La guida spirituale di Molinos viene pubblicata alla fine degli anni '70 del Seicento, questo significa che era stata autorizzata e quindi non era stata censurata. Il controllo di ciò che veniva pubblicato era molto stretto e preventivo; questa guida era stata autorizzata e, inoltre, la prefazione alla guida era stata scritta dall'arcivescovo di Palermo Jaime de Palafox un personaggio molto importante che la indica ai fedeli come qualcosa da seguire. Nel 1687 Molinos finisce sotto processo e viene condannato; le sue proposizioni vengono individuate come erronee e devono essere ritrattate; anche Palafox si deve giustificare di fronte al Sant'Uffizio. Ciò nonostante, l'orazione di quiete continua ad essere estremamente diffusa in Sicilia e in generale anche in Italia. Quest'atteggiamento fa parte della nuova mistica seicentesca, e siccome spesso queste nuove mistiche sono donne ed esse hanno determinate manifestazioni, ecco che vengono definite da Black con il femminile "sante vive".
Il quietismo viene represso per le stesse ragioni per cui lo reprimono gli spagnoli in Sicilia: i quietisti pregano riunendosi in conventicole, gruppi che stanno attorno alla mistica, una madre spirituale che insegna loro come pregare. C'è una predicazione femminile che la Chiesa, ancora oggi, non accetta; le donne sono maestre e predicatrici; inoltre, il rapporto che si trova con Dio è un rapporto interiorizzato e profondamente individuale (esempio, Suor Crocifissa). Queste donne trovavano nella "orazione mentale" e non nella preghiera verbale, la strada per arrivare più vicini a Dio: esse facevano il vuoto attorno a sé e cercavano di raggiungere questo momento di intima fusione con Dio (esempio, si diceva loro di immaginare di trasformare il cuore in un letto dove fare riposare il Signore, oppure un giardino o ancora un trono).
Perché questi pensieri e questi particolari esercizi spirituali sono considerati pericolosi ed è necessario perseguirli? Perché le persone che praticavano l'orazione di quiete fanno i conti con il proprio Dio senza intermediazione della chiesa, non ha bisogno di manifestare la sua adesione religiosa attraverso una serie di atti ordinari come la partecipazione alla messa, prendere i sacramenti, confessarsi, partecipare agli esercizi spirituali ecc., ma trovano una via interiore che esce fuori dal controllo e dai comportamenti dell'ortodossia. Contro la falsa santità e soprattutto contro la mistica seicentesca, la chiesa esercita il proprio rigore per non lasciarsi sfuggire di mano il controllo del comportamento religioso.

Altro avvenimento che ci spiega i 100 casi che ha censito Black sulle sante vive. Il problema delle sante vive è che queste sono donne conventualizzate, cioè vivono in convento, stanno dentro un ordine religioso. Quando si parla di ordini religiosi, c'è sempre il terzo ordine, oltre a quello per gli uomini e per le donne, ovvero quello riservato ai laici: persone qualunque, anche sposate, possono aderirvi. Fu Francesco D'Assisi a pensare inizialmente che ci volesse questo ordine, dato che la vita religiosa veniva considerata la vita perfetta per raggiungere il paradiso, egli si chiedeva perché mai bisognasse riservarla soltanto ai chierici ma voleva che anche i laici potessero godere di questa opportunità. Per questo viene istituito il terzo ordine (francescano ma non solo). Nel terzo ordine non c'è la castità, anche se spesso le persone che vi si iscrivono sono vedove/i, sono persone che rinunciano alla vita sessuale, oppure se sono persone sposate, hanno l'obbligo di esercitare la sessualità a fini solo riproduttivi. Del terzo ordine fanno parte anche re e regine, per esempio Luigi IX (quello delle crociate) re di Francia, detto Luigi il Santo era del terzo ordine; Santa Elisabetta regina di Ungheria aderisce all'ordine. Dalle teste coronate fino a Benedetto il moro, vi sono persone del terzo ordine. I laici vivono a casa loro oppure cominciano a vivere tra di loro, nella casa di qualcuno dove si raccolgono altre persone che hanno fatto la stessa scelta, senza promiscuità. Infatti, si trovano spesso donne che aderiscono al terzo ordine, di un ordine religioso a loro scelta, che vivono nella casa di una di loro. Queste persone cercano di praticare le stesse regole dell'ordine di riferimento, come la povertà o l'obbedienza, e finiscono per assomigliare all'ordine di riferimento anche nell'abbigliamento, per cui non indossano più gli abiti del secolo (che usano i laici in generale) ma usano abiti molto severi che, nel colore e nella forgia, assomigliano alla tonaca con il cordone che caratterizza l'ordine a cui fanno riferimento. Questi gruppi sono spesso femminili, sono quelli che gli spagnoli chiamano "beaterios", e le donne che sono all'interno dei gruppi sono le beatas in spagnolo, mentre in italiano si chiamano in vario modo a seconda della regione: beghine o pinzocchere; in siciliano sono "le monache di casa", perché spesso quando queste donne non vivono nei beaterios insieme, vivono nelle case dei parenti e fanno attività di aiuto e di sopporto (signorine di paese che organizzavano a maggio la novenia alla madonna), sono figure che hanno una lunga persistenza storica. Così come cercano di assomigliare il più possibile anche nell'abbigliamento all'ordine di riferimento, eleggono un direttore spirituale, cioè un sacerdote, colui che le confessa, le comunica ecc. e che in qualche modo controlla la legittimità dell'esercizio delle loro pratiche religiose. C'è quindi un controllo da parte della Chiesa su questi beaterios. Alcuni di questi beaterios o congregazioni più famose poi finiscono per diventare veri e propri ordini religiosi, affiliandosi all'ordine di riferimento. Per esempio, questo succede alle donne che facevano riferimento a San Gaetano da Thiene e quindi all'ordine dei teatini. Ecco che le congregazioni si trasformano nella parte femminile di un ordine.

Queste donne differiscono dalle altre donne conventualizzate che sono la maggioranza, per il fatto che non vivono in clausura e dunque sono sparpagliate per la città: raccolgono le elemosine che consente loro di vivere in comunità e fanno anche opera di proselitismo, evangelizzando e organizzando eventi nobili. La nobiltà delle donne in maniera incontrollata è una cosa che la chiesa non capisce. Questa è la ragione per cui c'è una spinta, da parte della Chiesa, ad organizzare queste "compagnie" in gruppi che assumono le regole conventuali.
Com'è possibile il fenomeno molto diffuso di donne che hanno visioni o macerazioni della carne, o ancora tentativi di attirare l'attenzione su doni straordinari che sarebbero alla base di tutto? Ci sono alcuni medici che vengono convocati in questi determinati casi dal Sant'Uffizio, che spiegano che le donne hanno spesso le visioni perché non mangiano, digiunano, si imbruttiscono. In uno stato di fame perenne, cominciano le visioni. I medici del tribunale furono i primi a capirlo. Inoltre, c'è una medicina che insiste sull'eccesso di facoltà immaginativa delle donne (le donne hanno troppa immaginazione) e questa facoltà immaginativa va a discapito della facoltà razionale, tipica degli uomini. Le donne usano la fantasia e proprio nella fantasia si concepiscono "fantàsmata" parola greca per "fantasmi" nel senso dell'epoca significa "illusioni diaboliche": questi fantasmi approfittano della facoltà immaginativa delle donne per introdursi nella loro mente. Questa facoltà immaginativa era molto potente tanto da avere effetti concreti (esempio le voglie durante la gravidanza che provocano malformazioni ai feti). Un medico molto importante dei primi anni del '700, Francesco Emanuele Cangiavia scrive un libro scientifico di medicina che dice che dalla facoltà immaginativa che i demoni usano per entrare nella fantasia delle donne, vengono fuori tutti i feti malformati, ma in particolare lui ritiene che ci siano feti che sono effetto di una fantasia di accoppiamento coi demoni, tale per cui il feto assomiglia a una sirena o a un tritone. Il problema del controllo e del processo era quello di assicurarsi che questi segnali di santità non fossero invece finzione o santità affettata, ma poteva anche esserci di più, come un rapporto delle donne con il demonio, e questo diventa materia del Sant'Uffizio a tutti gli effetti.

Una delle altre cause: stiamo parlando di monache, di conventi femminili. Questi sono, nel '500/'600 i luoghi dove le famiglie aristocratiche selezionano i propri eredi, nel senso che una famiglia decide che il proprio erede è il primogenito maschio, gli altri figli o si fanno sposare oppure si fanno frati o monache. Questi conventi diventano dei reclusori di fanciulli e fanciulle aristocratici che sono stati, dalla crudeltà dei padri, esclusi dal matrimonio. Le famiglie aristocratiche sono proprio quelle che fanno costruire i monasteri, dove racchiudono prima di tutto le donne della propria famiglia. Le famiglie aristocratiche considerano i conventi come un'appendice, perché costruiti con lasciti di aristocratici e con doti monastiche. Non solo per le donne monache a cui la famiglia non vuole dare una dote, un'uscita importante per le famiglie, la stessa cosa vale per gli uomini, quando in alcuni casi i primogeniti non sembrano adatti ad essere eredi perché hanno problemi mentali o fisici. Le doti per l'aristocrazia del 600 sono un dramma: non esiste fanciulla che possa aspirare al matrimonio se non ha una dote, anche di bassa classe sociale, perché senza dote non c'è matrimonio e senza matrimonio c'è il meretricio nella logica del tempo. Quando le donne sono povere, ci sono istituzioni che pensano a dotarle, sono istituti che raccolgono soldi come atto di beneficenza da parte di nobili donatori, e servono a "dotare" le figlie del popolo per sposarsi.
Nel caso delle donne aristocratiche, esse hanno il problema di voler fare matrimoni iper-gamici, cioè matrimoni con classi sociali superiori (ipogamici è il contrario). Gli aristocratici considerano il matrimonio un elemento strategico di politica familiare, quindi cercano attraverso il matrimonio, l'alleanza con famiglie importanti. Più importante è la famiglia, più importante deve essere la dote. L'aristocrazia arriverebbe anche a rovinarsi pur di dotare adeguatamente una figlia; utilizza infatti molti stratagemmi per evitare questa cosa e il più comune è quello di far sposare un fratello e una sorella con un fratello e sorella della stessa famiglia, in modo tale che una dote esce ma una entra.
C'è un caso siciliano conosciuto in letteratura, quello dei principi di Valdina, una casata messinese proprietari di feudi, produttori di seta e gelsi, è un'aristocrazia moderna e dinamica. Il principe Pietro di Valdina ha due figli maschi e quattro figlie femmine: il primogenito eredita, il secondo è un cadetto a cui viene data una piccola parte dei beni paterni; delle quattro figlie, tre vengono subito messe in convento, rispettivamente a 7 anni, 9 e 10; l'ultima che rimane viene sposata con pochi soldi, perché viene sposata con un cavaliere di Trapani, non aristocratico, che si accontenta di spostare una principessa anche se non gli porta soldi di dote. Questi sono i ragionamenti di una famiglia aristocratica tipica del Seicento. Le tre bambine inizialmente pensavano di essere state messe in convento come educande, per imparare a leggere e scrivere, ricamare e fare le attività tipiche delle principesse, ma ben presto capiscono che i genitori vogliono che diventino novizie, cioè comincino il percorso per fare la professione e prendere il velo. Questo è l'esempio di una cosa molto diffusa nell'Europa cattolica: la monacazione forzata: i genitori chiudono in convento le figlie femmine. La storia di Anna Valdina è molto importante. Questa stessa cosa la si faceva in tutta la penisola italiana (Venezia, Roma), anche in Spagna. Queste ragazze rinchiuse in convento vivevano in una situazione morbida, senza troppe ristrettezze: anche in convento avevano una serie di comodità proprio in virtù della loro nascita (esempio la cameriera personale). I conventi non erano aperti al pubblico, ma tutti i familiari erano ammessi e insieme ad essi, in parlatorio entravano gli amici. I parlatori sono luoghi di vera e propria sociabilità con le monache rinchiuse. Alcune di queste non vestono l'abito o, se lo vestono, dalla manica spuntano i merletti pregiati delle loro camicie; alcune hanno nelle celle oggetti preziosi anche di culto, provenienti dalle loro case. Nei parlatori si fa musica, si canta, non solo musica sacra (esempio per il carnevale di Venezia si fa anche musica profana) chi viene porta dolciumi, insomma erano aperti a tutti e con regole blande perché, come dice il vescovo di Milano, "se queste donne fossero nate maschi, governerebbero il mondo, invece poiché femmine, sono state dai loro genitori rinchiuse ma non si può farle vivere in modo difforme dalla loro condizione". Si tratta di condizione di sangue nobile, non si può farle vivere in modo miserabile, povera rispetto alla loro condizione. Per questo, il vescovo di Milano tollera una serie di comodità nei conventi.
I conventi vengono anche accusati dai moralisti di essere luoghi promiscui: ci sono case di monache che si innamorano e fuggono con l'innamorato, altri casi come la monaca di Monza (personaggio storico Gertrude di una importante famiglia aristocratica), casi di amoreggiamenti sono molto comuni ("e la sventurata rispose"), c'erano anche casi di monache gravide, di bambini seppelliti nei muri.
C'è una letteratura moralista che comincia a criticare della libertà di cui si gode nei conventi. Soprattutto, c'è il concilio di Trento che, nel 1563 anni di chiusura del concilio, viene fatto il decreto sul matrimonio ma anche il decreto sulla riforma dei conventi, i padri conciliari hanno concepito i due decreti assieme. Nel decreto per il matrimonio, si dice che il matrimonio non deve essere forzato ma deve essere basato sul consenso, così anche la monacazione deve esservi basata. Il concilio dunque fa una serie di regole rigorose, per cui le bambine non possono iniziare il noviziato prima di 16 anni; prima la badessa e poi il vescovo devono accertarsi della loro volontà; dopo la confessione ci sono cinque anni di tempo entro i quali queste donne possono decidere di lasciare il convento, nonostante questa ultima cosa sia molto complicato dal momento che dentro il convento esse sono state messe come decisione di strategie familiari, di conseguenza una volta uscite non possono tornare dalle proprie famiglie e, a meno che non abbiano qualcuno che le ospita o assicura di sposarla, esse non riescono ad uscire dal convento. Dunque che fanno? C'è un processo del Sant'Uffizio di Venezia contro una monaca che comincia a ribellarsi, rompendo crocifissi, fa atti di autolesionismo, e cerca in questa reazione violenta di dimostrare la sua scontentezza. Molte di queste monache quindi, danno segno di santità, e ciò significa porsi al centro dell'attenzione (tutti ti guardano, ascoltano quello che dici perché predichi, fai letture di testi sacri in cui dimostri la conoscenza di cose divine), acquisendo visibilità e parola in uno spazio che è diventato pubblico. Queste donne, nella maggioranza dei casi, sono condannate al silenzio, si sa poco o nulla di loro. Una di loro, una monaca veneziana Arcangela Taragotti scrive un testo, "l'inferno monacale" in cui accusa la connivenza tra la crudeltà dei genitori e la complicità dei "padri della repubblica" cioè della classe dirigente veneziana, di chiudere le donne nel convento, di togliere alle donne la parola. Questa donna, attraverso gli scritti, decide di prendere la parola; altre donne invece prendono la parola attraverso la forma di santità.
Insomma le sante vive si possono considerare come donne che hanno tentato, in un secolo che le esclude dagli spazi pubblici, di prendere parola in uno spazio religioso ma attraverso la enfatizzazione delle loro caratteristiche fino alla santità, proponendosi come modello non solo per le monache ma anche per le altre donne. È una strada contraddittoria che può essere letta in termini contemporanei rispetto a chi le ha studiate sotto il taglio del Sant'Uffizio.

Tratto da STORIA DELL’INQUISIZIONE ROMANA di Federica Palmigiano
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