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Redditometro – art.38 del DPR 600/1973

Il redditometro è un tipo di accertamento induttivo dei redditi che si basa sulla “capacità di spesa” del contribuente. Fa riferimento a dei “beni indice” ed in particolare alla proprietà o disponibilità di essi in capo al soggetto. Si concretizza in un paragone tra il tenore di vita di un soggetto e quanto dichiarato dallo stesso, ossia tra il reddito induttivamente determinato con l’uso degli indici e quello dichiarato nella dichiarazione annuale dei redditi dal contribuente.
Il redditometro si può utilizzare qualora la discrasia evidenziata sia di almeno ¼ e perduri per almeno 2 anni consecutivi (c’è un dibattito sulla consecutività, ma la Cassazione ha stabilito che, da Ottobre 2008, non devono più essere 2 anni consecutivi, ma possono anche essere2anni separati temporalmente) (Circolare 49E/2007 Esplicativa).
Questo sistema coinvolge i Comuni, che possono fare delle segnalazioni per aiutare l’Amministrazione Finanziaria, e la Guardia di Finanza, che analizza le Banche dati degli investimenti e degli autoveicoli per verificare il tenore di vita di un soggetto.

Gli elementi sulla base dei quali i redditometro opera vengono emanati e rivisti ogni 2 anni, e sono numeri che vengono tra loro incrociati per determinare il reddito dei contribuenti. Questi elementi (Indici) riguardano aerei, navi di grandi dimensioni, automobili, motocicli, roulotte, abitazioni, domestici, cavalli, titoli, assicurazioni, investimenti, viaggi, ecc. Rispetto ad essi esistono delle presunzioni legali e relative, previste dalla legge, che prevedono un’inversione dell’onere della prova, il quale si trasferisce totalmente in capo al contribuente. Questo meccanismo serve a facilitare il lavoro dell’Amministrazione Finanziaria, ma rischia di non assicurare il giusto livello di garanzia per i contribuenti. Gli indici possono, inoltre, essere suddivisi in patrimoniali, rappresentati dagli investimenti veri e propri, e gestionali, rappresentati dalle spese necessarie alla gestione e mantenimento degli stessi.
Altro aspetto fondamentale è rappresentato dal fatto che si vuole prendere in considerazione la cosiddetta “famiglia fiscale”, ossia il tenore di vita dell’intero nucleo famigliare, per arrivare ad un accertamento che sia il più completo e veritiero possibile, e si devono prendere in considerazione anche gli eventi degli anni precedenti a quello dell’accertamento.

L’Amministrazione Finanziaria dovrebbe, secondo il volere del legislatore, instaurare sempre una sorta di contraddittorio preventivo prima di procedere all’accertamento, così da assolvere ad una funzione deflattiva del contenzioso tributario ed in ossequio del principio di correttezza e buona fede.
La scelta dei soggetti da sottoporre a redditometro non avviene casualmente, o a tappeto, ma segue una ricerca ed una valutazione preventiva.
Passando all’analisi del rapporto che esiste tra processo tributario e processo penale, va ricordato che se dal procedimento tributario emergono reati penali, inizia parallelamente un altro procedimento di carattere penale, ma relativo agli stesi fatti. Come noto, i due processi hanno finalità e regole diverse. Un’evasione tributaria acquista rilevanza penale se l’ammontare supera gli € 77000,00 circa. Le presunzioni tributarie, però, non possono essere utilizzate ai fini del processo penale in quanto in quest’ambito non esiste l’inversione dell’onere della prova. Le risultanze tributarie, inoltre, possono essere utilizzate come elemento probatorio ai fini penali solo se valutate assieme ad altri elementi. Le risultanze penali, invece, possono più facilmente essere utilizzate nel processo tributario.
L’ultimo aspetto da rilevare riguarda la tassazione dei ricavi fittiziamente dichiarati. I ricavi scaturenti da una fattura falsa, in teoria non dovrebbero essere tassati, ma in pratica, l’Amministrazione Finanziaria tende a ricomprendere questi ricavi nell’imponibile da tassare, invocando l’art.14 della Legge537/1993. La giurisprudenza non appoggia questa teoria invocando, invece, l’art. 53 della Costituzione.
Per quanto riguarda l’IVA dovuta scaturente da fatture false, invece, si ritiene pacificamente accolta la teoria secondo la quale sia comunque dovuta a norma dell’art. 21 del DPR 633/1972.

Tratto da ECONOMIA DEI TRIBUTI di Michele Fanelli
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