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Abuso di posizione dominante

L'abuso di posizione dominante, fattispecie più economica, è una disciplina che si preoccupa di evitare comportamenti che possono alterare le dinamiche competitive; non si parla di cooperazione, bensì di iniziative individuali. Fonti di riferimento sono l’art. 3 della legge nazionale Antitrust, che vieta l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato. Stesso articolo si ritrova nel TFUE ed è la norma comunitaria (art. 102), con l’unica differenza che si sottolinea nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, è il criterio che seleziona l’applicazione della norma comunitaria. Il diritto nazionale riguarda le vicende che impattano sul commercio interno; il diritto comunitaria s’applica quando l’abuso impatta sul commercio tra Stati membri. La dominanza deve essere su un mercato che ha una dimensione nazionale. Ciò che è in gioco in queste norme non è essere titolari di una posizione dominante, ma abusare. Sono norme che si preoccupano del fatto che, in un mercato dove vi è un’impresa che domina, che ha una dimensione considerevole, quest’impresa fa qualcosa che non piace e che la legge chiama abuso di posizione dominante. L’abuso di posizione dominante ha delle sue specificità. Quando questa norma è nata ed è stato scritto “è vietato abusare della posizione dominante”, ci si trovava in una situazione in cui l’Europa era appena uscita dalla guerra, l’attenzione principale dei redattori del TCE era quella di vietare alle imprese che avessero raggiunto un considerevole potere di mercato, di estrarre delle rendite di monopolio. L’interpretazione della norma si è un po’ estesa, cercando di leggere la norma non solo guardando la sua definizione generale, ma anche alla luce dei comportamenti vedere le tipologie di abuso recuperate dalla norma. La norma non si limita a controllare come le imprese usano il potere di mercato nei confronti dei loro clienti, bensì nei riguardi anche dei concorrenti che provano ad entrare nel mercato, e le imprese dominanti attuano strategie escludenti nei loro confronti. Norma, quindi, nata per controllare i prezzi delle imprese dotate di potere di mercato. Oggi rappresenta uno dei strumenti principali della disciplina della concorrenza, usata per sanzionare comportamenti con cui le imprese dominanti cercano di evitare l’ingresso dei concorrenti nel mercato.

Prezzo alto e prezzo iniquo

Si tratta di un intervento efficace, perché non è facile stabilire il prezzo alto e il prezzo iniquo; se i concorrenti entrano nel mercato, la loro presenza porterà a un abbassamento dei prezzi. Meglio prevenire che combattere. L’art. 102 menziona solo la posizione dominante ma, alla luce dei comportamenti esemplificativi abusivi, le Autorità Antitrust e i Giudici sono chiamati a valutare queste decisioni. Le decisioni dell’Autorità di Concorrenza possono essere contestate dalle imprese; quelle della Commissione contestate davanti al Tribunale di primo grado e alla Corte di Giustizia delle comunità europee, quelle delle Autorità Antitrust nazionale dal TAR e Consiglio di Stato. La giurisprudenza comunitaria e la Commissione, nei primi decenni dell’applicazione delle norme del Trattato, si sono posti il problema di cosa fosse la posizione dominante, e hanno iniziato a elaborare questa nozione. Nozione che, come nel sistema americano, si è sviluppata caso per caso, e ha una sua matrice economica ben definita, cioè la situazione di un’impresa dotata di un significativo potere di mercato, di alzare i prezzi. Nelle sentenze di qualsiasi decisione sull’abuso, la posizione dominante è la posizione di potenza economica che rende indipendente l’impresa, nei confronti dei suoi clienti, fornitori e concorrenti. Nozione giurisprudenziale, dove il concetto di indipendenza deriva dal fatto che l’impresa può estrarre una rendita e i consumatori, che hanno bisogno dei suoi prodotti, sono costretti ad acquistarli in quanto manca un’offerta alternativa. La posizione dell’operatore è quella di leader, impresa che opera da sola o quasi. La dominanza non è un monopolio, non significa avere il 100% del mercato; sono state accertate situazioni di posizione dominante con quote di mercato più basse del 100%, però bisogna avere l’indipendenza. Indipendenza vuol dire capacità di alzare i prezzi e tenerli un po’ più alti per un periodo di tempo ragionevole. Dimensione temporale rilevante perché si parla di una dinamica economica di mercato. Se non si da una collocazione temporale al potere di alzare i prezzi, tale potere diventa molto teorico. Non è dominanza se un’impresa alza il prezzo per un mese, senza che nessuno entri nel mercato, perché nemmeno un concorrente potenziale ha tempo per produrre.
Il tempo di riferimento ideale, da prendere in considerazione, è un biennio. Il dominante non deve essere inamovibile; è ammessa l’idea che nel medio periodo qualcun altro entri nel mercato, nel frattempo il dominante c’ha spazio e può fare ciò che vuole, come estrarre in 2 anni copiose rendite, far lotta molto efficace a un concorrente che cerca di entrare nel mercato. Biennio considerato ragionevole periodo. Quando s’applica questa norma, il problema è capire se quest’impresa che sta facendo una cosa che non ci piace, come ostacolare l’ingresso di un concorrente nel mercato, ha i requisiti per essere considerata dominante. Per risalire alla dominanza, si fa riferimento a sintomi della dominanza, a situazioni che possono essere sintomi o fattori che consentono di immaginare l’esistenza di una dominanza, condizioni strutturali e dinamiche del mercato, in cui si può intuire più o meno che aria tira in questo mercato. Nei casi di abuso di posizione dominante, l’assetto criticato è la grandezza del mercato; se il mercato è tanto grande, è difficile che ci sia un dominante. Più si restringe il mercato, più è facile trovare la dominanza. Caso Coca Cola (1999/00): è stato contestato alla Coca Cola di aver fatto una strategia escludente a danno della Pepsi Cola, cercando di accaparrarsi tutti i distributori delle bevande a lattina. Coca Cola si dichiarò non dominante, poiché il suo prodotto è sostituibile con tutto. Se si alzano i prezzi della Coca Cola, i consumatori sceglieranno l’aranciata; se si alza l’aranciata, si adotta la limonata, ecc. Coca Cola avrà avuto una quota di mercato pari al 10%. L’Autorità Antitrust ha cercato di capire quali prodotti fossero realmente sostituibili, facendo anche un’indagine di mercato, intervistando un campione di consumatori, che ha dichiarato che di fronte a un aumento del prezzo della Coca Cola, sarebbe passato alla Pepsi Cola e alla Ben Cola (1970). Se la Cola costa troppo, si beve solo l’acqua. Il mercato era bevande gusto Cola, e l’Autorità Antitrust ha voluto vedere il contesto nel quale un impresa che si localizza in Italia può vendere le bevande gusto Cola. Per motivi connessi alla lingua, al sistema di vendita e al livello dei prezzi, si è giunti all’idea che il mercato della commercializzazione della Coca Cola aveva dei condizionamenti nazionali. Un impresa non poteva operare senza dei punti di riferimento in ciascun paese, e il mercato è stato considerato di dimensione nazionale.
Su questo mercato, la Coca Cola aveva una porzione notevole, e si è andati avanti nell’accertamento della dominanza. Si parte dal mercato rilevante e poi si guarda alla posizione dell’impresa nel mercato. Il punto di partenza, per valutare la dominanza, è la quota di mercato dell’impresa, la percentuale di fatturato che quell’impresa realizza nel fatturato totale, calcolata sul fatturato monetario. Se la quota non è rilevante, sotto il 40%, non si parla di dominanza; sopra il 40%, l’analisi va approfondita, perché non si può escludere una situazione di indipendenza. La quota dell’operatore potrebbe perdere rilevanza se non è durevole. Se ci si trova di fronte a un prodotto nuovo, anche se la quota è molto elevata, non si considera elemento indicativo della dominanza, perché non è stabile, non è scontato che questa dimensione varierà presto. Bisogna confrontare la misura della quota con la sua durevolezza, e poi con il contesto di riferimento, vedere se ci sono concorrenti alternativi, attuali o potenziali, e qual è la loro dimensione. Se si ha una quota molto alta, che dura da tempo, non vi sono concorrenti all’orizzonte e quelli attuali hanno una dimensione modesta, non hanno una capacità produttiva che si può espandere, il dominante avrà carta bianca. Se i concorrenti, invece, hanno dimensioni rilevanti, va valutata attentamente la loro possibilità, considerare che i concorrenti presenti nel mercato di riferimento possono dare fastidio. Elemento rilevante sono l’entità delle barriere all’ingresso, quei fattori che ostacolano l’entrata di nuovi operatori. Altro aspetto da considerare è la forza contrattuale degli acquirenti, che possono essere consumatori o altre imprese. Se sono altre imprese, una forte presenza nel mercato del dominante può essere controbilanciata dal fatto che, quel mercato ha uno o due acquirenti. Chi compra è in grado di definire la sorte di chi vende. Vantaggi del dominante. Vantaggio tecnologico: per un operatore è fondamentale innovare, chi innova è più forte nel mercato. Vantaggio tecnologico presente nel modo di produrre, nella tipologia di prodotto. Nella dominanza, ciò che conta è avere il prodotto innovativo, che crea una differenziazione verticale del prodotto rispetto al prodotto dei concorrenti, creando una situazione di clientela affezionata. Anche la celebrità del marchio è importante, e il fatto che ad esempio il marchio Coca Cola è molto affermato.

Pratiche abusive

Esempi di comportamenti abusivi sono prezzi e condizioni commerciali ingiustificatamente gravose, impedire e limitare la produzione, gli sbocchi e lo sviluppo, la discriminazione e i contratti leganti. I primi due assorbono due grandi famiglie: comportamenti di sfruttamento abusivo del potere di mercato che ha il dominante, che ne approfitta per imporre condizioni di vendita ai suoi acquirenti, danneggiandoli a suo vantaggio. È la classica estrazione della rendita in senso patrimoniale. Altra famiglia di comportamenti è l’escludere altri operatori dal mercato. Tie-in è il classico comportamento escludente, la discriminazione è il sistema con cui le imprese praticano ai concorrenti condizioni peggiori rispetto a quelle che applicano a se stesse, è il tipico abuso discriminatorio. L’abuso di posizione dominante può avere due grandi forme, che possono abbracciare qualsiasi comportamento, anche atipico: abusi di sfruttamento e abusi anticoncorrenziali. Abusi di sfruttamento sono comportamenti in cui l’operatore dominante direziona il suo comportamento in modo diretto sugli acquirenti dei suoi beni/servizi. Abusi anticoncorrenziali sono comportamenti in cui direttamente il comportamento s’indirizza a un concorrente, che l’operatore dominante cerca di escludere dal mercato e, impedendo l’ingresso del concorrente, lo danneggia e indirettamente danneggia anche il consumatore, poiché gli preclude la possibilità di un’offerta alternativa efficiente. Una prima categoria di abusi di sfruttamento è quella di imporre un corrispettivo per prestazione non rese, situazione che si verifica quando un’impresa vende i prodotti a pacchetto, e anche se uno qualcosa non la vuole, gli si dice o tutto o niente. Un caso che fu esaminato dall’Autorità Antitrust italiana è il comportamento di alcune imprese di gestione aeroportuali, imprese che offrono servizi destinati a tutti coloro che transitano nell’aeroporto. Queste compagnie pretendevano di svolgere loro il servizio di check-in. Alcune compagnie aeree avevano chiesto alla società di gestione, la possibilità di autogestire questo servizio e risparmiare notevolmente, perché il canone per tutti i servizi aeroportuali non era da poco. Le compagnie facevano un pacchetto air line service, ossia ti paghi tutto e poi prendi, e non consentivano da fare da se questo auto check-in. Queste compagnie devono pagare enormi somme per un servizio che avrebbero preferito prestare autonomamente.
La società di gestione aeroportuale diceva di no, ed è partita la denuncia all’Antitrust. L’Autorità Antitrust ha considerato abusivo questo comportamento, perché imponeva il pagamento di una prestazione che l’impresa non voleva. Nel corrispettivo, c’erano servizi che le imprese potevano non chiedere. Si evitava la fatturazione separata dai servizi, chi aveva meno bisogno di certi servizi, pagava tutto compreso. Inoltre, s’impediva l’autoproduzione. Altro caso di sfruttamento ricondotto è l’istituzione del servizio di Via Card. L’idea era quella di sottrarre la possibilità di pagamento in contanti del pedaggio autostradale. L’Autorità Antitrust è intervenuta, dichiarando che se la società di gestione autostradale avesse imposto l’acquisto della Via Card per pagare l’autostrada, avrebbe abusato del potere di mercato che gli derivava dalla gestione autostradale, costringendo i soggetti all’acquisto della tessera e non consentendo la più comoda modalità di pagamento contante. Un ipotesi di abuso di questo genere è stata anche prospettata dall’Autorità di Concorrenza, in casi recenti che riguardavano il pagamento di servizi energetici o telefonici, di utenze domestiche. Quando un inquilino di un appartamento lasciava l’appartamento, e subentrava l’acquirente del nuovo appartamento o il nuovo locatario, si fa la voltura del contratto che da diritto a instaurare un nuovo rapporto contrattuale senza rifare l’allaccio, che è un costo aggiuntivo. Se il precedente inquilino si era dimenticato di pagare qualche bolletta, la compagnia di erogazione faceva la voltura e l’inquilino pagava il debito del precedente inquilino. L’Autorità Antitrust ha contestato l’abuso di posizione dominante, non arrivando a una decisione di accertamento dell’abuso, perché l’impresa si è avvalsa dell’istituto degli impegni. Ultima fattispecie è l’imposizione di prezzi iniqui, che si ha quando l’impresa pratica prezzi troppo alti. Previsione applicata poco, in un caso che ha portato a un risultato pratico reale, il caso United Brands, dove la Commissione ha affermato il principio per cui il prezzo è iniquo se troppo alto rispetto al costo di produzione. È difficile accertare l’abuso per prezzi iniqui, tanto è vero che l’Autorità Antitrust non aveva prove evidenti di abuso. Questo ragionamento sull’abuso dei prezzi iniqui si può rivalutare se la strategia attuata dal dominante non piace, perché caccia dal mercato un potenziale concorrente, capace di abbassare i prezzi.

Abusi anticoncorrenziali

Se l’obiettivo dell’applicazione della norma, è la tutela del consumatore, gli abusi anticoncorrenziali devono essere finalizzati a cacciare dal mercato concorrenti efficienti quanto il dominante. Quando si vanno ad accertare singoli abusi, bisogna fare il test di anticompetitività della condotta, test che va fatto in modo tale da non avere un atteggiamento accomodante nei riguardi di imprese, che potrebbero essere interessate a entrare nel mercato a danno del dominante, e quindi imprese pretenziose, inefficienti, che non hanno infrastrutture, hanno livelli di costo elevati. Si deve pretendere dal dominante un certo rigore, controbilanciandolo con l’esigenza che, quello che gli si deve impedire è di strafare. Il comportamento abusivo interessa se può danneggiare la concorrenza. Avvolte un elemento interessante è l’organizzazione di una strategia da parte del dominante; annientare i concorrenti, è un elemento legittimo, e quello che non va bene sono i mezzi utilizzati. La prova che si vuole eliminare un concorrente, è la prova che si è competitivi. Quando si valutano i comportamenti abusivi, ci possono essere circostanze di cui non si tenevano conto, e che invece sono rilevanti e devono essere provate dal dominante. La prima è obiettiva necessità, la seconda è l’esistenza dell’efficienze, che ha un’analisi simile a quella degli accordi. Un tipo di comportamento abusivo è il rifiuto di contrarre. Mentre in Europa, il rifiuto di contrarre è considerato un comportamento anticompetitivo e di monopolizzazione del mercato, la Federal Trade Commission americana aveva deciso di espellere questo comportamento dai comportamenti di monopolizzazione, ma recentemente si è rimangiata le cose e ci sta ripensato. Il rifiuto di contrarre è un comportamento banale, dove un operatore dominante deve contrarre con chi gli chieda una certa prestazione. L’operatore dominante impedisce che ha il controllo di una risorsa essenziale per lo svolgimento di un’attività economica e, avendo il controllo di tale risorsa, ne preclude l’accesso ai suoi concorrenti. Comportamento considerato abusivo. È stato considerato comportamento abusivo di rifiuto di contrarre, il rifiuto opposto da una società che gestiva un porto e una flotta di navi, che non consentiva a una flotta concorrente di avere una banchina disponibile per l’attacco al porto. Impedire l’attacco portuale al concorrente, significa cacciarlo dal mercato. Non c’era una saturazione del porto, le banchine c’erano ma non erano disponibili.
Un punto fermo di questo comportamento è stato raggiunto con il caso Oscar Bronner. Un operatore che vendeva giornali, aveva ideato un sistema di consegna a domicilio di giornali, tramite pulmini. Un suo concorrente potenziale, gli aveva chiesto di poter usare i suoi pulmini per portare i giornali a domicilio, e l’operatore ha negato l’accesso ai suoi pulmini. Quando si è arrivati alla sentenza, il principio è che una risorsa deve essere a disposizione se è essenziale e non duplicabile. Per un concorrente può essere facile chiedere l’accesso a una infrastruttura, perché significa non fare un investimento di lungo periodo. Tutti devono investire nelle infrastrutture, bisogna avere un’azienda strutturata in modo tale da svolgere l’attività senza dipendere dagli altri. Quando una situazione di dipendenza esiste nella natura delle cose, perché il porto ha un gestore portuale, chiamato a una speciale responsabilità. L’operatore che domina entrambi i mercati, controllando la facility a monte, può fare il bello e cattivo tempo, ma se il porto non si può duplicare ed è un’infrastruttura essenziale, discorso diverso per i pulmini che si possono duplicare, investendo. Il rifiuto di contrarre e la dottrina dell’essential facility ha avuto applicazione anche nei rapporti con i DPI. Qual è il grande problema che da tempo mette a confronto il diritto della concorrenza e la teoria dell’abuso di posizione dominante con il sistema della proprietà industriale? Si possono vedere i DPI come antagonisti della norma sull’abuso di posizione dominante, perché questi diritti danno un’esclusiva e il diritto di non contrarre, di non mettere a disposizione l’oggetto del proprio trovato. Caso Volvo/Veng: un concorrente di Volvo voleva una licenza per lo sfruttamento di alcuni modelli industriali per rifare dei pezzi di ricambio, e Volvo gli ha detto no. L’Autorità Antitrust ha dato ragione a Volvo, perché quello è la natura del suo diritto. Il DPI non è anticompetitivo, perché nel mercato Volvo ci sono tantissimi pezzi di ricambio per le macchine; il problema si pone, come ha sottolineato anche la Corte di Giustizia, se Volvo non da pezzi di ricambio. Non va supervalutata questa presunta contrapposizione tra concorrente e DPI, perché la concorrenza punta anche a un miglioramento della produzione. Convivenza possibile tra i due modelli, purché il DPI sia usato in un modo contenuto nell’ambito della sua funzione, senza tradirne l’esclusiva e la ratio.
Caso Magill: in Irlanda, c’erano tante televisioni che avevano la guida TV della televisione. Un signore voleva fare una guida TV multichannel, chiedendo a delle emittenti televisive se gli potevano comunicare il palinsesto dei loro programmi, ma questo palinsesto ha una tutela, un diritto d’autore disponibile che tutela la forma. Queste emittenti hanno respinto la richiesta di questo signore, e si aperto il procedimento per l’abuso di posizione dominante. Questa guida TV è un prodotto nuovo, guarda oltre, dal monocanale al multicanale. Con questo diritto, si stava bloccando un prodotto che non c’era, si sta cercando di avere un esternalità positiva che non li spetta. Ecco che il rifiuto è stato considerato abusivo. Ogni volta che c’è un rifiuto di un DPI, l’unico modo per costringere l’impresa a dare la licenza è dimostrare che, chi lo vuole realizzerà un prodotto nuovo. La Commissione ha fatto un caso sperimentale, andato male, il caso IMS. Esiste una banca dati, tutelata da un diritto d’autore sulle banche dati, che è un sistema di raccolta dati. Chi inventa un sistema di raccolta dati, fatto con certe caselle e criteri di raccolta, ha l’esclusiva. Questo sistema di classificazione in griglia, fatto in un certo modo, si è affermato molto nel mercato. Tutti gli operatori interessati, case produttrici, farmacie hanno comprato la banca dati, allineandosi allo standard di questa banca dati di classificazione. Un concorrente voleva anche lui fare una raccolta dati, ma nessuno era disposto a scegliere l’offerta, cambiando il sistema di griglie. La Commissione ha provato a considerare questo sistema come prodotto nuovo, e il diritto d’autore cede alla concorrenza. Decisione annullata dalla Corte di Giustizia. Secondo la Commissione, ciò che conta è che ci sia una situazione che non è lo standard. La posizione della Corte è più conservatrice, rispetto ai DPI, dichiarando che va bene che ci siano casi in cui la licenza è concessa, ma in quei casi bisogna che, chi ha il diritto lo usi in modo che non è coerente con la ratio del diritto. Caso Microsoft: Microsoft aveva elaborato il sistema operativo Windows; nelle grandi imprese esistono dei sistemi che sono i server, programmi che servono a tutti gli utenti di PC della stessa impresa di dialogare tra loro, hanno file condivisi. È la directory dell’azienda. Microsoft aveva il suo programma server, ma altri programmi server esistevano nel mercato. Affinchè un’azienda si compri un server, bisogna che il suo server dialoghi con il sistema operativo Windows.
In questi mercati, tutti i venditori di server avevano il problema che, per far dialogare i loro server con Windows, non ci riuscivano così bene, come riusciva il server di Microsoft. È stato chiesto a Microsoft di avere dei codici sorgente, programmi che servivano a far comunicare i due sistemi. Microsoft aveva già dato qualcosa, sostenendo di aver finito. L’interoperabilità era garantita, ma non buona rispetto a quella che garantiva sui suoi sistemi. I server potevano dialogare con Windows, ma non potevano essere come Microsoft. La Commissione non è stata convinta, e ha condannato Microsoft. I produttori di server non avrebbero utilizzato la licenza per realizzare un prodotto nuovo, ma per rendere interoperabili i loro prodotti, concorrenti con quelli di Microsoft. I prodotti esistenti erano i server e i programmi operativi. Non c’era un prodotto nuovo. Se non si consente l’interoperabilità tra il server e Windows, un domani i server saranno standardizzati e, non consentendo l’interoperabilità, s’impedisce la concorrenza nell’innovazione dei server. Il Tribunale si è riagganciato al principio del prodotto nuovo, che è l’innovazione. La licenza non può essere negata quando il suo rifiuto impedisce l’innovazione. Altro esempio di comportamento abusivo sono i prezzi predatori, situazioni in cui un’impresa dominante adatta i prezzi in modo strategico per mettere in difficoltà i propri concorrenti. Se si abbassano i prezzi, perché entra un nuovo concorrente nel mercato, è quello che ci si attende come risultato sano, fisiologico. Il problema si pone quando si abbassano i prezzi in modo anomalo, scendendo al di sotto dei costi di produzione. In questo caso, si scoraggia, se non impossibile, la permanenza sul mercato di operatori efficienti, perché se si vende sottocosto, questi si mettono in difficoltà, e il comportamento ha una sola finalità: mandare via il concorrente dal mercato. Un comportamento anomalo, se posto in essere da un operatore dominante, questo hai suoi mezzi; il new entrant, seppur efficiente, non è detto che abbia delle risorse finanziarie e non avrà inizialmente la stessa quota di vendita del dominante. La predazione è pericolosa se attuata da un’impresa molto forte, da un dominante che, essendo indipendente, ha molte rendite, risorse finanziarie considerevoli, che gli permettono di resistere a lungo in questa strategia di sacrificio, e di rialzare i prezzi.
Se la predazione è fatta da un dominante, il new entrant ha paura perché ha un colosso davanti a lui. Anche se le risorse finanziarie non sono così rosee, la condotta fatta da un’impresa grande è molto dissuasiva. Questa pratica va punita. Se si fa un ribasso, si fa la concorrenza, e la cosa peggiore che un’Autorità di Concorrenza potrebbe fare, sarebbe quella di costringere un’impresa ad alzare i prezzi, se i suoi prezzi sono razionali, coprono i suoi costi. Se si fa uno standard di abuso di predazione, il test della predatorietà deve scendere al di sotto dei costi, perché si sarà certi di tutelare solo imprese che si lamentano, poiché il dominante si sta comportando in maniera anomala, irrazionale, e loro soffrono perché anche un’impresa efficiente quanto il dominante, soffrirebbe senza le sue risorse. La prima grande teoria è del Prof. Areda, che seppur un’impresa non copre tutti i costi, si preoccupa se quest’impresa non copre il costo marginale, perché non coprirlo è contro intuitivo, se non si copre ci si ferma. Un costo che si può studiare è il costo variabile medio, nasce il test di Areda; il prezzo che non copre il costo marginale si considera abusivo. Questo test è articolato, perché se il prezzo non supera questo costo, potrebbe essere abusivo a seconda di come si rapporta ai costi totali. Caso Tetra Pack: l’operatore vendeva due prodotti, uno da solo e l’altro con il concorrente; giocava sulla rendita del mercato che usava per finanziare il sottocosto dell’altro. Da una parte c’è una rendita sicura che il dominante ha, dall’altra il concorrente Elopak. Tetra Pack abbassava il prezzo al di sotto del costo nei contenitori dove c’era Elopak, costringendolo a fare le valigie. È stato accertato l’abuso di posizione dominante, perché non era coperto né il costo variabile medio, né il costo totale medio. Test del costo incrementale: quando si fa una predazione, si aumenta la produzione, perché si deve invadere il mercato di nuovi prodotti, da vendere sottocosto. Se si fa una strategia di predazione contro il concorrente, quando si preda si deve sovraprodurre. Sovrapproduzione che da dei costi incrementali, che si sopportano per predare. Altro test è quello di tenere in conto solo i costi incrementali. Caso Diano: due rotte che collegano lo Stretto di Messina; inizialmente, vi era un solo operatore storico, poi sull’altra rotta inizia a operare Diano, che ha piazzato diverse navi sull’altra rotta con tariffe inferiori al 50%. Gestione rovinosa di questa rotta, Diano faceva partire le sue navi 5 minuti dopo l’altro concorrente, a un prezzo più basso e, nonostante ci perdeva, aveva l’entrata nell’altra rotta.
L’Autorità Antitrust ha applicato il test del costo incrementale. Distinzione tra costi incrementali di breve (carburante, equipaggi, biglietterie) e lungo periodo (ammortamento, concessioni, manutenzione straordinaria). I prezzi del concorrente di Diano non coprivano i costi incrementali di breve e lungo periodo. Comportamento, alla fine, considerato abusivo. Test di recupero: dopo aver dimostrato il sottocosto, va dimostrato che ci sarà un nuovo rialzo del prezzo. In ambito europeo, il test di recupero non serve, in quanto si fa il test della dominanza, e si presume che l’impresa, rimanendo dominante, recupererà una volta cacciato il concorrente. Diano, nel frattempo, non era fallito e non era stato cacciato, eliminato dal mercato. L’intervento dell’Autorità Antitrust deve essere preventivo, non si può aspettare che sia cacciato dal mercato e poi dimostrare che il prezzo era sottocosto e la strategia era escludente. La Commissione ha deciso che vorrà fare il test della predazione, usando il costo incrementale di medio – lungo periodo e, al posto del costo di breve, la Commissione preferisce il costo evitabile medio, il costo che si sarebbe evitato se non si fosse attuata la condotta abusiva.

Tratto da DIRITTO INDUSTRIALE di Valerio Morelli
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