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Secondo periodo della filosofia di Platone: la dottrina delle idee

Secondo periodo dell'indagine filosofica di c: la dottrina delle idee


Nel secondo periodo, la dottrina delle idee è il cuore del platonismo maturo. In antitesi ai Sofisti, Platone ritiene che la scienza ha i caratteri della stabilità e dell’immutabilità e si chiede quale sia il suo oggetto proprio, di certo non le cose del mondo apprese dai sensi, mutevoli e imperfette. Secondo Platone, tale oggetto sono le idee. L’idea è un’entità immutabile e perfetta, che esiste per suo conto e che costituisce, con altre idee, una zona d’essere diversa dalla nostra, l’iperuranio.
Il fatto che le idee presentino caratteristiche strutturali diverse dalle cose non esclude un loro stretto rapporto con gli oggetti. Per Platone le cose sono copie o imitazioni imperfette delle idee. L’idea platonica è dunque il modello unico e perfetto delle cose molteplici e imperfette del mondo.
In Platone esistono due grandi fondamentali di conoscenza, che sono l’opinione e la scienza (dualismo gnoseologico) cui fanno riscontro due tipi di essere distinti, che sono le cose e le idee (dualismo ontologico). Da Eraclito Platone accetta la teoria secondo cui il nostro mondo è il regno della mutevolezza, mentre da Parmenide il concetto secondo cui l’Essere autentico è immutabile.
Dopo aver spiegato cosa sono le idee, vediamo quali sono. Distinguiamo le idee valori, corrispon-denti ai supremi principi etici, estetici e politici (il Bene, la Bellezza, la Giustizia), e le idee matema-tiche, corrispondenti alle entità dell’aritmetica e della geometria. Platone parla talora idee di cose naturali e artificiali. Solo negli ultimi dialoghi, Platone lasciare cadere la nozione matematico-etica di idea, finendo per configurarsi come la forma unica e perfetta di qualsiasi classe di cose.
Le cose partecipano alle idee, e le idee partecipano a loro volta del bene, che è l’idea delle idee. Tale idea è stata talora assimilata a Dio: questa lettera non trova tuttavia verifica nei testi, dove risulta tra l’altro assente l’idea di un Dio creatore.
Pur affermando la distinzione idee-cose, egli ne sostiene pure il legame. Le idee sono infatti criteri di giudizio delle cose (diciamo che due cose sono uguali sulla base dell’idea di Uguaglianza) e causa delle cose (le realtà dette belle sono tali in quanto partecipano alla Bellezza).
Tuttavia, il rapporto idee-cose non è stato ben definito dal Platone della maturità, in quanto egli, pur parlando di mimesi (le cose imitano le idee), di metessi (partecipano alle idee), di parusìa (presenza delle idee alle cose), è rimasto sulla questione piuttosto incerto.

Ci domandiamo come e dove esistano le idee. La tradizione, prendendo alla lettera l’espressione platonica di iperuranio ha considerato il mondo platonico delle idee come qualcosa di analogo all’Empireo dantesco e al Paradiso cristiano; altri le hanno considerate come modelli di classificazione delle cose, dei criteri mentali attraverso cui pensiamo gli oggetti.
Se la prima interpretazione è stata considerata troppo legata al mito, la seconda è stata invece ritenuta un’eccessiva modernizzazione di Platone. In realtà, il modello platonico deve essere interpretato come un ordine eterno di forme e valori ideali. Un esempio ci è offerto dagli enti matematici; infatti le idee di Triangolo o Numero, pur esistendo al di fuori dello spazio e del tempo  e indipendentemente dagli intelletti umani, non si trovano in un ipotetico mondo dell’aldilà.
Platone si domanda come l’uomo possa accedere alle idee e ricorre alla dottrina-mito della reminiscenza affermando che la nostra anima, prima di calarsi nel corpo, è vissuta nel mondo delle idee, di cui conserva un sopito ricordo. Grazie all’esperienza delle cose, che fanno da pungolo per la memoria, l’anima ricorda ciò che ha visto nell’Iperuranio. Platone dirà: “Conoscere è ricordare”.

La gnoseologia di Platone rappresenta quindi una forma di innatismo, in quanto ritiene che la conoscenza non derivi dall’esperienza sensibile (che funge solo da meccanismo sollecitare del ricordo) bensì da metri di giudizi preesistenti e connaturati con il nostro intelletto. Noi non partiamo dunque né dalla verità dispiegata ne dall’ignoranza, bensì da una sorta di pre-conoscenza da cui dobbiamo socraticamente tirar fuori la conoscenza vera e propria.

La reminiscenza postula di per sé l’immortalità dell’anima. Nel Fedone, Platone elenca delle prove dell’immortalità dell’anima. Una prima detta dei contrari: la morte si genera dalla vita, e la vita si genera dalla morte, nel senso che l’anima rivive dopo la morte del corpo. Una seconda, della somiglianza, sostiene che l’anima, essendo simile alle idee, eterne, sarà anch’essa tale. Una terza, della vitalità, afferma che l’anima, in quanto soffio vitale, è vita e partecipa dell’idea di vita.
Nel Fedone troviamo inoltre la dottrina platonica della filosofia come preparazione della morte. Se filosofare significa morire ai sensi e al corpo, la vita del filosofo risulta tutta una preparazione alla morte, cioè al momento in cui l’anima libera, possa unirsi alle idee e contemplarle. Platone ritiene inoltre che la nostre sorte attuale dipenda da una scelta compiuta nel mondo delle idee, tesi illustrata nel mito di Er, dove si dice che ogni anima sceglie il modello di vita che poi incarnerà.
Mentre con il relativismo sofistico, l’uomo è misura delle cose, nell’antirelativismo platonico la conoscenza torna ad avere un valore assoluto e cessa di essere relativa all’uomo e al soggetto giudicante: l’idea è misura delle cose, la verità misura dell’uomo. Anche la morale torna ad avere  validità assoluta in quanto Platone ritiene che esistano idee-valori, quali il Bene, la Giustizia, ecc.
Il sapere stabilisce tra l’uomo e le idee un sapere che non è puramente intellettuale, perché impegna la totalità dell’uomo e quindi anche la volontà. Questo rapporto da Platone è definito amore (eros). Alla teoria dell’amore sono dedicati due dialoghi, il Convito e il Fedro.

Nel Convito, gli interlocutori esprimono i caratteri dell’amore. Pausania distingue dall’eros volgare, che si rivolge ai corpi, l’eros celeste che si rivolge all’anima. Aristofane, col mito degli esseri primitivi composti d’uomo e donna (androgini), divisi dagli dei per punizione in due metà in cui una va in cerca dell’altra, esprime ciò che l’amore rivela nell’uomo: l’insufficienza. Socrate osservò che l’amore desidera qualcosa che non ha, ma di cui ha bisogno ed è quindi mancanza.
L’amore è desiderio di bellezza, e la bellezza si desidera perché rende felice. Essa ha gradi diversi a cui l’uomo può sollevarsi attraverso un cammino. In primo luogo, è la bellezza di un bel corpo che attrae un uomo, poi egli si accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così passa a desi-derare tutta la bellezza corporea. Ma al di sopra di essa ci sono la bellezza dell’anima, la bellezza delle istituzioni e delle leggi, poi la bellezza delle scienze. E infine, la bellezza in sé, che è eterna.
Nel Fedro, Platone si domanda come l’anima può percorrere i diversi gradi di questa gerarchia. L’anima è simile ad una coppia di cavalli alati, guidati da un auriga: uno dei cavalli, quello bianco, è eccellente, l’altro, quello nero, è pessimo, sicchè l’opera dell’auriga è difficile. In ogni anima, caduta e incarnata, il ricordo delle sostanze ideali è risvegliato proprio dalla bellezza.

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