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Spinoza e l'estetica: Trattato teologico-politico e Etica

L'estetica biblica di Spinoza


Non c’è dubbio che Spinoza si sia occupato della trattazione della Bibbia.
Il suo Trattato teologico-politico contiene, nei suoi primi quindici capitoli, un’ermeneutica biblica. È indubbio che ci sia un rapporto tra Spinoza e la Bibbia. Meno ovvio è il collegamento tra Spinoza e l’estetica e tra Spinosa e l’estetica biblica.
Spinoza è importante per l’estetica in un senso negativo: Spinoza critica il valore dell'estetica. Leibniz si pone come l’anti-Spinoza: egli rilancia il tema dell’armonia di tradizione platonico-cristiana. Spinoza critica invece tale principio: per questo Leibniz individua in Spinoza il suo referente polemico rilanciando la metafisica estetica dell’armonia. Leibniz afferma che questo è il migliore dei mondi possibili in quanto è stato creato da Dio, il quale è perfetto.
La bellezza delle cose non è un dogma, ma un dato di fatto: le cose sono belle in sé e dalla loro bellezza e perfezione si può risalire alla causa stessa di tale bellezza. Le cose sono belle in sé, altrimenti Dio, dopo averle create, non le guaderebbe più e non le considererebbe buone (v. Genesi). Per Leibniz dalla creazione si può risalire al creatore. Leibniz fa un riferimento polemico all’Etica di Spinoza. Nell'Etica di Spinoza si sostiene che i valori etici ed estetici sono solo chimere, illusioni umane. Per Spinoza non ci sono criteri oggettivi di bellezza, ma le cose appaiono belle in virtù della loro utilità. Spinoza serve come stimolo negativo per la trattazione successiva riguardo l’estetica. Lo stesso Leibniz, per quanto in contrapposizione ad egli, per molti versi ne è debitore (influenza negativa e positiva di Spinoza su Leibniz e quindi sull’estetica).
Per Spinoza nella Bibbia non ci sono verità speculative , filosofiche, scientifiche, teoretiche; ci sono precetti morali esposti in forma poetica. Tali precetti si rivolgono all’immaginazione e non alla ragione.

Vita e opere di Spinoza


Spinoza nasce nel 1632 nella comunità ebraico-portoghese. La sua è una famiglia di Marrani, di ebrei che continuarono a professare segretamente la loro religione.
CHEREM: si tratta di una specie di scomunica ebraica che serviva per il controllo sociale, una specie di sanzione utilizzata per mantenere l’ordine sociale e per far sì che si fosse accettati dalla comunità calvinista. Essa aveva valenze sociali e politiche, più che religiose. Tale scomunica interessò lo stesso Spinoza.
Spinoza conosceva lo spagnolo, il portoghese, l’olandese, l’ebraico e il latino.
OPERE: vengono composte tutte dopo la scomunica. Spinoza in vita non ha pubblicato quasi nulla.
Scritti giovanili:
- Discorso sul metodo;
- Trattato su Dio, l’uomo e il suo bene: unico trattato in lingua spagnola. Contiene l’abbozzo della sua grande opera, l’Etica.
Il Trattato teologico-politico è una delle opere pubblicate da Spinoza in vita; tutte le altre furono pubblicate postume.
Spinoza rielaborò il breve trattato su Dio (1661) in chiave geometrico-matematica dando vita al Trattato teologico-politico.
L’ETICA è suddivisa in:
1.Dio
2.Uomo
3.Affetti:
3.1.Affetti
3.2.Schiavitù
3.3.Libertà
La libertà non consiste nel rimuovere gli affetti, ma nel comprendere la propria passionalità. Quando Spinoza iniziò a comporre il TTP, gran parte dell’Etica era stata completata, probabilmente le prime tre sezioni. Le passioni da cui siamo affetti dipendono dai meccanismi dell’immaginazione. Non si può estirpare l’immaginazione. La libertà infatti, si fonda sulla comprensione dei meccanismi immaginativi e quindi su un loro dominio. Il prodotto principale dell’immaginazione è la Bibbia.


Il Trattato teologico-politico: l'estetica nella Bibbia


Spinoza decide di scrivere il trattato principalmente per tre motivi:
1.I giudizi dei sacerdoti, i pregiudizi dei teologi;
2.Le opinioni del pubblico;
3.La libertà dei filosofi.
Spinoza dichiara soprattutto di voler ribattere alle accuse di ateismo (motivo più strettamente personale). Egli inoltre vuole difendere la libertà di filosofare, di usufruire della ragione. Il primo e il terzo motivo sono strettamente connessi in quanto i pregiudizi dei preti vanno a scapito della ragione, della ricerca filosofica e razionale. Il Trattato è un’opera enigmatica, ambigua: essa dice alcune cose, ma ne lascia intendere altre lasciando la strada aperta a diverse interpretazioni. La filosofia di Spinoza è anche una ripresa di temi biblici: nelle sue opere sono presenti spunti dell’ebraismo e del cristianesimo. Spinoza cita il Nuovo Testamento in una traduzione dell’ebreo Tremeglio e non basandosi sulla Vulgata. Decide di adottare questo testo probabilmente in quanto esso si fonda sul testo siriaco.
La religione cattolica è intesa come religione universale (senso antico del termine). Dio è la causa immanente di tutte le cose. Dio non è il creatore delle cose: Spinoza è infatti, inteista. Tutte le cose per lui sono in Dio e in Dio si muovono. “Noi siamo in Dio e Dio è in noi” (PANENTEISMO).
L’idea che Spinoza ha di Dio è diversa dalla concezione che ne hanno tutte le confessioni religiose. Spinoza critica i cristiani moderni e afferma la sua adesione agli ebrei antichi anche se dice che questi ultimi sono stati male interpretati. Per la salvezza non conta la conoscenza del Gesù storico, del Cristo secondo la carne, ma quella del logos, l’eterno Figlio di Dio. Tale logos si manifesta in maniera ottimale nella mente umana e soprattutto nella figura di Gesù. Poco dopo tuttavia, Spinoza arriva a criticare il concetto di incarnazione sostenuta dalle confessioni tradizionali. Egli sostiene di non capire il dogma dell’incarnazione. Dire che Dio si è fatto uomo è altrettanto assurdo che dire che il cerchio ha assunto la forma del quadrato (similitudine geometrica). Per Spinoza, senza dubbio, Cristo è più che un profeta in quanto comunica con Dio da mente a mente, ma non è certo il Dio incarnato. Nel Trattato teologico-politico vengono presentate in modo discorsivo concezioni che si trovano espresse in maniera geometrica nell’Etica.

Critica della superstizione nel Trattato teologico-politico


 L’Etica aiuta a conoscere se stessi. Gli uomini sono per natura timorosi e superstiziosi. La superstizione deriva sempre dalla paura. Essa è per sua natura instabile, ma può essere stabilizzata da determinati apparati autoritari, totalitari. Per la pace dello stato e per la religione è necessaria la libertà di pensiero e l’esercizio della ragione che cerca di combattere la superstizione. Più che la religione è diffusa la credulità unita ai pregiudizi. La religione si configura come strumento usato dai sovrani. La ragione è disprezzata mentre vengono ricercati nella natura “profondissimi misteri” irrazionali. Nella Bibbia secondo Spinoza non si devono ricercare concezioni razionali o filosofiche, ma precetti morali espressi in forma poetica. Viene attuata una distinzione tra l’esperienza razionale e l’esperienza religiosa. Spinoza utilizza due tipi di modalità per esprimere le sue concezioni, una razionale e una estetica. Egli sostiene l’interpretazione letterale della Bibbia. Quella allegorica non viene esclusa, ma essa deve intervenire solo in un secondo momento.
Principio ermeneutico di un’analisi immanente della Scrittura: la Bibbia va analizzata a partire da ciò che afferma essa stessa, dal suo contenuto senza che venga aggiunta alcuna concezione. Chi ha cercato verità sublimi nella Bibbia, non ha fatto altro che appesantire la Scrittura con speculazioni filosofiche. La ragione interviene a livello metodologico e non contenutistico.
Spinoza non crede nei miracoli intesi come qualcosa di sovrannaturale che esula dalle leggi di natura. I miracoli non sono altro che fatti che accadono raramente e che quindi suscitano ammirazione.
La Bibbia non contiene una teologia, non è conoscenza razionale di Dio, ma piuttosto è un’ermeneutica, interpretazione della parola di Dio.
Il destinatario ideale del Trattato per Spinoza è il lettore-filosofo, colui che va alla ricerca della sapienza. Non è invece rivolto al volgo, il quale resta irrimediabilmente ancorato alla superstizione. Né tanto meno è consigliato ai teologi (dai quali sarà ritenuto ateo).

Profetismo nel Trattato teologico-politico


1° capitolo: profezia
2° capitolo: profeti
Il profeta non è semplicemente qualcuno che predice il futuro: un buon profeta è colui che minaccia una profezia negativa che poi non si avvera. Il profeta è colui che parla “in nome di” davanti a qualcuno. Emerge il ruolo di intermediario e di intercessore del profeta. I profeti sono personaggi rivoluzionari che si occupano soprattutto della diffusione di precetti etici a volte anche contro il rigorismo religioso.
Se la profezia fosse semplicemente una conoscenza degli uomini in Dio, allora anche la conoscenza di fenomeni naturali, potrebbe essere considerata profezia, allora la stessa conoscenza scientifica sarebbe profezia. In senso stretto per profezia s’intende una conoscenza straordinaria, non comune a tutti gli uomini.
Profeta, detto NAVÌ (mediatore, intermediario). Per Spinoza, navì significa interprete, portavoce, inviato. Il profeta è colui che riceve una rivelazione e che deve trasmettere tale visione al popolo attraverso la parola. Il profeta si configura quindi come un messaggero. La conoscenza profetica è una conoscenza mediata dalla rivelazione. C’è una cesura fra la conoscenza razionale-naturale e quella profetica. La conoscenza immaginativa di fatto è inferiore rispetto alla conoscenza razionale. Sebbene la conoscenza naturale sia in certo modo divina, coloro che la diffondono, gli scienziati, non possono essere considerati profeti. La conoscenza razionale è cumulabile e soprattutto trasmissibile: chi ascolta un filosofo diviene esso stesso filosofo, mentre chi ascolta un profeta non diviene a sua volta un profeta, in quanto la capacità profetica non può essere trasmessa.
Quali sono i mezzi della rivelazione profetica?
Tali mezzi per Spinoza, vanno cercati direttamente nella Bibbia. Stando alla Bibbia, i mezzi utilizzati da Dio per rivelarsi ai profeti sono le parole e le figure, le immagini. Tali immagini possono essere talvolta vere, reali, oppure semplicemente immaginate, sognate. La rilevanza estetica del profetiamo non è legata al modo in cui il profeta parla a popolo, ma si lega ai mezzi che esso riceve da Dio. I profeti non percepirono la rivelazione di Dio se non in virtù dell’immaginazione, cioè mediante parole e immagini, vere o immaginarie che fossero. I profeti percepivano oltre i limiti dell’intelletto (non SUPRA ma EXTRA).
L’estensione è un attributo di Dio, ma non per questo egli è dotato di figura. Per la Bibbia Dio ha una figura, ma non è dato di vederla. La Bibbia usa degli antropomorfismi che però non vanno presi alla lettera.
CAPITOLO II
Non tutti i profeti possedevano le stesse capacità: si ha a che fare con una differenza di stili dovuta alle diverse disposizioni dell’animo. Le profezie variavano a seconda dell’umore dei profeti; inoltre varia anche lo stile della profezia stessa a seconda dell’eloquenza, dell’immaginazione, dell’istruzione e delle capacità del profeta. Le profezie inoltre potevano essere chiare oppure oscure.

La legge di Mosè per Spinoza


CAPITOLO III: Della vocazione degli Ebrei.
La pretesa di essere l’unico popolo a cui Dio si sia rivelato è per Spinoza cattiva e quanto meno infantile. Mosè, dal canto suo, si adatta a questo infantilismo facendo credere agli ebrei di essere il popolo eletto fra tutti i popoli.
Gli uomini desiderano tre cose:
1.intendere le cause;
2.dominare le passioni
3.vivere con sicurezza e in salute.
I primi due desideri dipendono dalle nostre capacità, mentre il terzo dipende dalla fortuna. L’elezione degli ebrei dipese dalla prosperità dello Stato: Dio ha eletto il popolo ebreo per la società e la legislatura avuta da Mosè e non per l’intelletto o la tranquillità d’animo. In Spinoza c’è la negazione dell’elezione del popolo ebraico e la riduzione del significato della loro elezione a un carattere politico e temporaneo. Spinoza sostiene l’universalismo dei profeti: c’è la testimonianza a tutti i popoli e non solo a quello ebraico. Nell’ultimo capoverso Spinoza sostiene che l’elezione potrebbe essere temporanea o eterna, ma riguarda solo lo Stato e il benessere materiale. Si assiste a una totale secolarizzazione dell’elezione degli ebrei.
CAPITOLO IV: Della legge divina.
Si assiste ad un’analisi molto complessa della nozione di “legge” in relazione ai concetti di necessità e decisione. Il significato di Legge è descrittivo e non prescrittivo: ad esempio le leggi della natura coincidono con l’ordine della natura stessa (sia generale che umana). Conoscere quest’ordine significa avere le leggi e divenire saggi e beati (intellettualismo etico). Tuttavia il termine legge ha anche e soprattutto una valenza prescrittiva. Per Spinoza è preferibile agire bene conoscendo l’ordine delle cose; ad esempio, conoscere le passioni vuol dire comprenderle e di conseguenza liberarsene attraverso la sublimazione.
Spinoza insiste sull’aspetto politico della legislazione mosaica. Ammette che essa possa essere divina, in quanto rivelata a Mosè attraverso una profezia. Più divina di questa legge è però la legge naturale o razionale.
La legge divina naturale:
a.è universale in quanto dedotta dalla natura;
b.non esige la fede nelle storie perché altra è la conoscenza di Dio che può raggiungere;
c.non esige cerimonie o riti particolari;
d.è premio a se stessa: la vera conoscenza e l’amore di Dio sono premi a se stessi e non mezzi per ottenere un premio estrinseco.
DUE domande:
1.Dio è un legislatore o un principe che prescrive leggi solo agli uomini?
2.Cosa insegna la Sacra Scrittura sulla legge naturale e sulla ragione?
Risposte:
1. Non è ragionevole pensare Dio come un legislatore. In Dio intelletto e volontà coincidono.
La legge è presentata come tale perché più comprensibile per gli uomini. Lo stesso Cristo percepì le cose rivelate in maniera vera e adeguata e se diede delle leggi lo fece solo a causa dell’ignoranza e dell’ostinazione del popolo.
Distinzione tra Legge e Grazia. La nozione di legge equivale a quella di schiavitù: Spinoza equipara la salvezza al sacrificio di Cristo e al raggiungimento di una beatitudine raggiunta attraverso la comprensione di Dio.
Dio è legislatore e principe solo per le capacità del popolo.
2.Nella Bibbia sarebbe affermata una superiorità della legge divina naturale rispetto a quella rivelata. Ad esempio nei proverbi di Salomone si legge: “Sorgente di vita è l’intelletto per chi ne è padrone”. E in Paolo: “Le cose che sono presenti dall’inizio della creazione devono essere nell’intelletto divino”. La Scrittura valuta il lume naturale positivamente: essa “raccomanda il lume e la legge divina naturale”.
CAPITOLO V: Delle cerimonie e della fede nelle storie.
Per Spinoza le cerimonie non hanno alcun valore al fine della salvezza: sono semplicemente funzionali all’elezione degli ebrei, in senso secolarizzato. Spinoza mette infatti, in risalto passi della Bibbia in cui si argomenta contro le cerimonie. Le cerimonie utilizzano un linguaggio estetico che si adatta al volgo. Infatti Spinoza riconosce che esistano almeno due tipi di persuasione: l’uno agisce per via empirica, l’altro opera per via razionale. Chi si riferisce al popolo deve far leva primariamente sull’immaginazione. Gli obiettivi della persuasione sono la devozione e l’ubbidienza. Ma Spinoza ribadisce la superiorità della conoscenza razionale. Egli inoltre sostiene l’inutilità delle cerimonie: Cristo predicò una religione universale.

Teorizzazione dell’ermeneutica biblica


Per Spinoza è necessario studiare scientificamente la Scrittura. Egli mette in atto una critica radicale del fanatismo e della superstizione. È necessario:
1.stabilire la storia della Scrittura;
2.imparare l’ebraico;
3.raccogliere le affermazioni di ciascun libro, annotando quelle oscure dal punto di vista del senso (analisi filologica) e non della verità.
Dalla Bibbia non dobbiamo aspettarci niente per quanto riguarda la conoscenza razionale di Dio, ma soltanto degli insegnamenti morali.
Spinoza commenta le frasi di Gesù sui comportamenti. “Porgere l’altra guancia” è il male minore quando si vive in tempi di ingiustizia in cui non è conveniente ribellarsi. Al contrario, in uno stato ben tutelato è necessario “vendicarsi”, essere giusti. Tuttavia questo insegnamento suonerebbe male sia per l’etica di Spinoza sia per quella ebraica: egli elogia la vita, la giustizia, contrappone un’etica della giustizia a un’etica della misericordia.
In un secondo momento Spinoza accomuna la tradizione ebraica e quella cattolica, criticandone la pretesa di essere la sola religione che interpreta nel modo giusto la Bibbia.
Poi Spinoza prende in esame le difficoltà che sorgono nello studiare la Bibbia. Innanzitutto sorgono difficoltà di carattere filologico: gli ebrei, difatti, non hanno lasciato né una grammatica, né una retorica, né tanto meno un vocabolario. Ma ci sono anche altre difficoltà, più relative alla lingua ebraica:
a.il fatto che ci sia lo scambio di alcune consonanti, rende ambiguo il significato di alcuni passi;
b.il fatto che le congiunzioni possano avere un molteplice significato;
c.la peculiarità del sistema verbale: mancano alcuni tempi dei verbi, il passato e il futuro si scambiano;
d.la questione delle vocali e degli accenti è un altro motivo di ambiguità: i segni vocalici e gli accenti sono stati aggiunti dai masoreti, ma non sono presenti nella Bibbia.
Altre difficoltà:
1.uno stesso racconto ha significato diverso a seconda del genere letterario cui appartiene;
2.alcuni libri sono pervenuti solo in traduzione.
Tutti questi problemi ci portano ad ammettere che di molti passi ignoriamo il significato o lo indoviniamo senza esserne sicuri.
Per Spinoza, per comprendere la Scrittura occorre solo la ragione, la quale è usata in modo strumentale e metodologico (razionalità ermeneutica).
Spinoza critica Mosè Maimoide: questi piega la religione alla filosofia, egli pretende di trovare nella Bibbia degli spunti filosofici e di poterla interpretare allegoricamente.
Per Spinoza ognuno deve essere libero di interpretare la Bibbia senza essere vincolato da una qualche autorità esterna. Per questo critica coloro che ritengono di essere in possesso delle chiavi dell’interpretazione della Scrittura. Spinoza sembra vicino al pensiero luterano “Sola scriptura”: si deve fare uno studio scientifico della Bibbia. Egli non usa un taglio teologico, ma teologico-politico, filosofico.


L'Etica di Spinoza in relazione alla religione


È suddivisa in cinque parti:
1.Dio;
2.La mente;
3.Gli affetti;
4.La schiavitù;
5.La libertà.
La trattazione di Spinoza parte da Dio. La prima pagina dell’Etica sembra voler scoraggiare chi non vuole veramente leggere l’opera. Egli dà otto definizioni:
a.CAUSA SUI (=causa di sé);
b.CAUSA FINITA (=ha la sua causa in altro);
c.SOSTANZA (=ciò che è in sé e per sé si concepisce);
d.ATTRIBUTO (=coestensivo ala sostanza);
e.MODO (=affezioni della sostanza).
Dunque la sostanza si identifica con la causa sui; i modi sono le cose finite. Ma la causa di sé e la sostanza sono identiche a:
f.DIO (tutte le cose sono in Dio = panenteismo);
g.COSA LIBERA (libertà non è il contrario di necessità, ma di costrizione. La libertà agisce per la necessità della propria natura: libertà e necessità s’identificano e si contrappongono alla necessità esterna, ovvero alla costrizione).
h.ETERNITÀ (=al di fuori del tempo).
Il tema fondamentale è quello dell’unicità della sostanza: la sostanza è una realtà onnicomprensiva
Differenza tra natura naturans e natura naturata: c’è un rapporto non di creazione, ma di emanazione.
Il rapporto tra Dio e il mondo è equiparato alla necessità logica secondo cui da certi principi si arriva a determinate conclusioni: date certe premesse in Dio, si arriva al mondo sensibile.
APPENDICE. Spinoza riassume in poche parole ciò che ha esposto nella prima parte. Si assiste alla critica dei pregiudizi e della superstizione. I pregiudizi:
1.Gli uomini credono di agire in vista di un fine, s’illudono di agire proponendosi a piacere certi fini;
2.Essi credono che anche le cose siano rette da cause finali, credono che tale struttura finalistica sia stata ciò a cui Dio ha pensato quando ha creato il mondo. Di questa creazione l’uomo sarebbe il fine ultimo: Dio avrebbe fatto tutto in vista dell’uomo (visione antropocentrica) e ha creato quest’ultimo affinché lo adori.
PRIMO PUNTO: I pregiudizi finalistici.
Da cosa dipendono questi pregiudizi? In un certo senso sono necessari: gli uomini infatti, vogliono cercare il loro utile. Se noi conoscessimo noi stessi capiremmo che non ricerchiamo altro che il nostro utile, e invece ci sbagliamo attribuendo questa struttura all’intero universo. Abituati a ragionare in termini finalistici, gli uomini attribuiscono alla natura un fine, ritenendo che tutte le cose siano messe a disposizione da Qualcuno per l’uomo. E Dio avrebbe creato tutto ciò per legare gli uomini a sé e far in modo che gli rendessero onore (pregiudizio antropocentrico e antropomorfico).
SECONDO PUNTO: La falsità del pregiudizio finalistico.
La natura non è retta da un ordine di fini: tutto nella natura avviene per eterna necessità. Il pregiudizio finalistico va ad annullare la perfezione stessa di Dio: se Dio agisse per un fine, significherebbe che gli manca qualcosa, e quindi non sarebbe perfetto. L’uomo affetto da questi pregiudizi ragiona in modo diverso rispetto a chi parte dalle cause. La domanda “perché” può essere posta su due piani differenti per cui i due non possono intendersi fra di loro.
Una struttura complessa come il nostro corpo non richiede il riferimento a una causa soprannaturale. Infatti sopra-naturale non è nulla: la natura è Dio, cos’è sopra Dio?
TERZO PUNTO: Pregiudizi assiologici che derivano dal pregiudizio finalistico.
La terza parte è dedicata alla critica della credenza nei valori. Se la natura non è strutturata secondo fini non ci sono neanche valori: infatti, i fini rimandano ai valori in quanto un fine va perseguito perché si considera qualcosa di valido.
Le cose in sé considerate, ossia rispetto a Dio, non sono né belle né brutte.
Sembra che per Spinoza le cose possono essere diverse a seconda dell’individuo. Tutti i valori hanno origine umana, troppo umana: sono frutto dell’immaginazione di coloro che non conoscono la vera natura della cose. Nozioni come quelle di ordine, armonia, bellezza vengono spiegate fisiologicamente.


La fortuna di Spinoza in Germania

Leibniz

1671. Invia a Spinoza degli scritti di ottica, ai quali Spinoza risponde regalando il Trattato teologico-politico.
È difficile ricavare l’autentica opinione di Leibniz sul Trattato: probabilmente condivide l’idea comune che si tratti di un’opera empia, ma apprezza l’ingegno di Spinoza.
1676. Visita di Leibniz a Spinoza. Inoltre Leibniz commenta l’epistola di Spinoza relativa all’infinito.
È solo dopo il 1677 che Leibniz sceglierà Spinoza come bersaglio polemico. In ogni caso ne fu profondamente influenzato.
“Saggi di teodicea” (1710). Con il passare degli anni Leibniz caricaturizza Spinoza, per il quale da giovane aveva avuto tanto interesse. Il Dio di Leibniz ha facoltà di scelta: egli fra i vari mondi che premono per esistere, sceglie il minore (o migliore). “Possibile”:
a.è ciò che non implica contraddizione;
b.è ciò che si contrappone a impossibile;
c.per Spinoza è ciò che si contrappone a necessario.
Spinoza è definito un cartesiano estremista e un cabalista estremista.
“Principi della natura e della grazia” (1714).
a.l’anima è architettonica: emerge il tema del macrocosmo e del microcosmo;
b.il vero amore è amore di Dio: ma il Dio di Spinoza non ha nulla da amare.
Lorenzo Lattanzi. Mette in evidenza l’ambiguità del termine “spinozismo”: dalla fine del 600 tale termine finisce con l’indicare il fatalismo cieco, il panteismo, l’ateismo.
Wolff. Nel 1738 scrive un’opera di teologia naturale. In essa critica la definizione spinoziana di sostanza. Spinoza ha attribuito l’estensione a Dio e gli ha negato attività e potenza creatrice: in Spinoza non c’è la creazione. Il suo errore consiste nel fatto che toglie realtà a tutto ciò che esiste.
Secondo Lessing in Spinoza non si dà il problema del dualismo cartesiano: infatti, in Spinoza anima e corpo sono una stessa cosa intesa in modi diversi.

Kant e Spinoza


Per Kant Spinoza era solo un dogmatico con la pretesa di spiegare cose che l’intelletto umano non è in grado di dimostrare. Goethe è un ammiratore di Spinoza ed è una delle personalità che più l’ha compreso. Egli ritiene infatti che Spinoza sia stato ritenuto ingiustamente un ateo. Herder è colui che si avvicina di più a Spinoza. Egli rivaluta la quinta pare dell’Etica. Jacobi considerava Spinoza come filosofo della ratio. Herder considera che alla fine non c’è la ratio, ma l’intellectus e l’Amor Dei Intellectus. Il merito di Spinoza è quello di non aver concepito Dio in qualche modo, ma anzi di aver fatti sì che si concepisse Dio come qualcosa che non potesse essere concepito. Qui viene criticato Leibniz che non ha avuto il coraggio di evitare qualsiasi immagine antropomorfica di Dio. Spinoza è stato un buon ebreo, un buon allievo di Mosè. Spinoza è un continuatore dell’aniconismo ebraico: egli non si fa nessuna immagine. Al Dio di Spinoza si contrappone un Dio antropomorfo, quello della qabbala.
Kant, “Critica del giudizio” (1790): come stanno in Kant i rapporti tra causalità e finalismo? Nella prima critica domina la nozione di causa, nella seconda quella di fine. Si assiste ad una dicotomia tra intelletto e ragione. L’intelletto ha il suo dominio nella natura, la ragione ha il suo dominio nel mondo della libertà. Il mondo della natura è il mondo sensibile, quello della libertà è il mondo soprasensibile. La terza critica ha anche lo scopo di collegare questi due domini separati. Dal mondo della natura non si può arrivare al mondo della libertà; ma il contrario è possibile, in quanto la libertà deve rivelarsi nel mondo.
La natura è in qualche modo preparata ad accogliere gli effetti della natura. Si può trovare la moralità nel mondo della natura, nella bellezza della natura. Ciò non significa che la natura sia qualcosa di finalistico: nella natura non c’è un finalismo, ma noi per come siamo fatti, non possiamo non vedercelo (finalismo soggettivo). La critica del giudizio si divide in critica della capacità di giudizio estetico e in critica della capacità di giudizio teleologico. Anche in Kant, come in Spinoza, il tema del finalismo e il tema della bellezza stanno insieme.

Spinoza nel romanticismo e nell’idealismo


Fichte aveva riletto la filosofia kantiana ponendo l’attenzione sulla Critica della ragion pratica. Shelling presenta la filosofia di Fichte come una forma di spinozismo rovesciato. Quello che c’è di buono in Spinoza è il fatto di voler fare una filosofia dell’Assoluto. Ma cosa non piace ai filosofi idealisti di Spinoza? La sostanza di Spinoza è priva di vita: infatti, il concetto assoluto in Spinoza è posto nel non-io, nella natura. Anche Hegel afferma che la sostanza di Spinoza è qualcosa di morto e non qualcosa di vivente. Spinoza è uno che “salta nel mare dell’infinito”: Hegel cerca una maggiore concretezza. Novalis ritiene Spinoza un mistico. Anche l’idea che ha Schleiermacher di Spinoza non si discosta molto da quella di Novalis.

Tratto da CORSO DI ESTETICA di Valentina Ducceschi
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