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La direttiva europea sul rapporto di lavoro a tempo determinato e la nuova disciplina introdotta dal d.lgs. 368/2001


I requisiti per l’apposizione del termine: le ragioni oggettive; forma e onere di prova
Adottata al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori soprattutto per quanto riguarda i rapporti diversi dal lavoro a tempo indeterminato e per incrementare l’occupazione mediante un’organizzazione più flessibile del lavoro, la direttiva 99/70/CE ha proposto un modello legislativo mirato alla promozione e non più alla restrizione della domanda di lavoro a tempo determinato.
Il recepimento della direttiva 99/70/CE è avvenuto con l’emanazione del d.lgs. 368/2001 con il quale il legislatore ha provveduto anche ad una riforma della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato.
La nuova normativa si pone quale fonte esclusiva della disciplina dell’intera materia, ad eccezione delle norme sui lavoratori assunti in sostituzione di altri in congedo parentale, di maternità e di paternità.
Senza dubbio la principale innovazione è costituita dall’abbandono del principio di tassatività nella definizione delle fattispecie giustificatrici (c.d. causali) dell’apposizione di un termine alla durata del contratto: il d.lgs. 368/2001 stabilisce che l’apposizione del termine è consentita “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Anche se non è stato riaffermato il principio di eccezionalità del rapporto a tempo determinato, l’enunciazione legislativa (“è consentita”) ha un indubbia valenza permissiva (rimozione di un limite) nei confronti dell’autonomia contrattuale.
In ogni caso, tale enunciazione funge da contenitore di un’ampia varietà di casi genericamente definiti in funzione delle esigenze dell’impresa.
Le ragioni giustificatrici della predeterminazione dell’attività di lavoro nel tempo e quindi dell’apposizione del termine al contratto, non possono essere espresse dalla mera volontà contrattuale, ma devono essere legate da un nesso di causalità finale (da mezzo a fine) ad un fatto obiettivamente verificabile ex ante “quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”.
In definitiva, la nuova disciplina ha notevolmente ampliato la possibilità di assumere lavoratori a termine, svincolandola dai requisiti restrittivi della straordinarietà, occasionalità, eccezionalità, senza tuttavia eliminare i limiti posti all’autonomia privata.
Infatti l’apposizione del termine resta vincolata all’esistenza obiettiva di una causa giustificatrice della temporaneità del rapporto, la cui individuazione concreta è rimessa alla valutazione delle parti e, in definitiva, alla scelta del datore, sul quale incombe l’onere della prova di tale causa o ragione giustificatrice.
Si ha dunque una forte estensione del potere regolamentatore dell’autonomia individuale ed inoltre dell’apprezzamento e, quindi, del controllo del giudice.
Anche la disposizione che vincola l’apposizione del termine al requisito dell’atto scritto (sono eccettuati soltanto i rapporti puramente occasionali di durata non superiore a 12 giorni) è collegata al ruolo riconosciuto dell’autonomia individuale.
La forma scritta è prescritta a pena di inefficacia e la scrittura deve indicare la scadenza del termine e specificare le ragioni giustificatrici della sua apposizione: in questo modo l’atto scritto assicura sia la trasparenza o veridicità della c.d. causale come individuata in concreto dalle parti, sia l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.
L’assenza o l’incompletezza della scrittura (e quindi della specificazione della ragione giustificatrice) comporta l’inefficacia della clausola oppositiva del termine e non la nullità dell’intero contratto che pertanto si considera a tempo indeterminato.
Alla stessa conclusione di deve giungere anche per l’ipotesi d’insussistenza o non corrispondenza rispetto allo schema legale della ragione giustificatrice specificata in concreto dalle parti.

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