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L'aiuto statale alle imprese: l’esistenza di un “vantaggio”


La definizione di aiuto statale richiede che vi sia un “vantaggio”.
Secondo un’interpretazione costante, una misura di intervento pubblico ricade nella definizione qualora l’impresa in questione abbia ricevuto un beneficio che non avrebbe conseguito in normali condizioni di mercato.
Ben presto nella prassi, a tale principio si è accompagnata l’introduzione del corollario in base al quale l’intervento statale sfugge alla classificazione quale aiuto di Stato qualora esso risponda a logiche di mercato.
Tale approccio è noto come principio dell’investitore privato in un’economia di mercato.
In base a tale principio, il comportamento dello Stato viene valutato alla luce del comportamento ipotetico di un operatore privato “tipico”.
Difficoltà notevoli sono emerse in relazione al fenomeno, assai comune, della compensazione a favore delle imprese dei costi derivanti dagli oneri di servizio pubblico.
L’elaborazione di una disciplina speciale in questo campo è frutto di una faticosa elaborazione giurisprudenziale culminata nella celebre sentenza Altmark.
In passato erano emerse tre scuole di pensiero:
- la prima sosteneva che si dovesse tracciare una linea netta tra aiuto statale e compenso per servizi svolti nell’interesse generale: posto che il compenso riflettesse l’ammontare dei costi aggiuntivi sopportati dall’impresa nell’intraprendere tali compiti di interesse generale, la misura statale ricadeva al di fuori dell’ambito dell’art. 87 Trattato CE;
- la seconda riteneva invece che la retribuzione di un’impresa, seppure per motivi di interesse generale, ricadesse nell’art. 87 Trattato CE e dovesse essere assoggettata agli obblighi di notifica/sospensione.
Tale classificazione non impediva però che la misura in questione venisse sottoposta ad un’eventuale dichiarazione di compatibilità alla luce dell’art. 86 Trattato CE, il cui campo di applicazione veniva così esteso agli aiuti di Stato;
infine, la terza posizione proponeva una soluzione intermedia: occorreva distinguere tra due categorie diverse di casi in base alla natura del rapporto tra il finanziamento concesso e gli obblighi d’interesse generale imposti, ed alla chiarezza della definizione di tali obblighi.
Secondo questa distinzione, la prima categoria avrebbe compreso le misure di finanziamento che apparissero manifestamente intese come un do ut des per obblighi d’interesse generale chiaramente definiti.
Tale categoria di casi sarebbe sfuggita agli obblighi del Trattato.
La seconda categoria doveva ricomprendere invece casi in cui mancasse il do ut des, o perché il nesso tra finanziamento statale e gli obblighi di interesse generale imposti non appariva né diretto né palese, oppure perché gli obblighi di interesse generale non fossero chiaramente definiti.
Tali casi dovevano essere analizzati in base alla procedura ordinaria, e valutati alla luce dell’art. 86 par. 2 Trattato CE.

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