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L’accesso ai servizi medici ospedalieri


Una procedura di autorizzazione è da considerarsi un “ostacolo” alla libertà di ricevere e di prestare un servizio medico-sanitario, dal momento che ne scoraggia l’esercizio.
È vero che l’esigenza di preservare l’equilibrio finanziario di un sistema previdenziale può fondatamente giustificare una restrizione alle regole di mercato, ma l’abolizione dell’obbligo di previa autorizzazione non è in grado di prospettare simili rischi con riguardo a prestazioni erogate al di fuori di strutture ospedaliere rimborsate nei limiti tariffari previsti dallo Stato competente.
Un diverso regime è configurabile con riguardo a cure dispensate nell’ambito di una struttura ospedaliera.
In questo caso le ragioni che possono giustificare restrizioni alla libertà di ricevere e prestare servizi sono fondatamente invocabili dagli Stati.
L’imposizione di un obbligo di previa autorizzazione si giustifica con la necessità degli Stati di pianificare il fabbisogno cui far fronte con le prestazioni ospedaliere e di controllare la spesa medica in modo da evitare sprechi di risorse.
Si profila così la necessità di operare una netta distinzione tra cure ospedaliere e cure erogate al di fuori di strutture ospedaliere.
Gli Stati mantengono la possibilità di esercitare un controllo sull’esportabilità del diritto alla cura ospedaliera, ma non si tratta di un potere “arbitrario”, dal momento che esso deve rispettare i criteri elaborati dalla Corte.
I principi relativi alle c.d. “ragioni giustificative” sono stati utilizzati dalla Corte per esprimersi su due questioni.
La prima questione è stata affrontata nella sentenza Smits e Peerbooms.
La Corte riconosce che il diritto comunitario cono può imporre ad uno Stato di modificare l’elenco delle prestazioni mediche prese a carico dal proprio sistema sanitario.
Se ne dovrebbe dedurre che è legittimo per uno Stato rifiutare il rimborso per le spese mediche sostenute all’estero a fronte di trattamenti non rimborsabili se eseguiti da strutture ospedaliere nazionali.
L’art. 49 Trattato CE, in altre parole, non aggiungerebbe nulla a quanto previsto dall’art. 22 reg. 1408/71.
Sensibilmente diversa è invece la conclusione cui giunge la Corte: un regime autorizzatorio, per essere legittimamente imposto a prestatori di servizi stranieri, deve garantire che le decisioni siano adottate in base a criteri oggettivi, non discriminatori e conoscibili in anticipo dagli interessati.
Nella sentenza Smits e Peerbooms, se da una parte vengono richiamati questi consolidati principi, dall’altra se ne dà un’interpretazione inedita applicandoli alla normativa previdenziale olandese.
Questa ammette il rimborso per spese sostenute presso istituti stranieri non convenzionati a fronte di trattamenti considerati di carattere “usuale negli ambiti professionali interessati”, cioè gli ambiti medici olandesi.
Una simile interpretazione è considerata dai giudici della Corte di Giustizia contraria al diritto comunitario, in quanto comportante l’adozione di un criterio di giudizio non oggettivo e discriminatorio.
Da ciò l’illegittimità del rifiuto di un’autorizzazione a ricevere un trattamento, che, pur non “usuale” nell’ambito sanitario dello Stato competente, sia “sufficientemente comprovato e convalidato dalla scienza medica internazionale”.
La Corte così impone criteri per decidere se e quando sussista un diritto alla cura in un ordinamento nazionale, smentendo il principio per il quale tale decisione è rimessa alla sovranità nazionale.
Un approccio invasivo delle prerogative nazionali è seguito dai giudici comunitari anche nel valutare in che modo i tempi di attesa per ottenere una prestazione medica nello Stato competente possano incidere sul potere di rifiutare l’autorizzazione.
Occasione per esprimersi in merito è fornita ancora dalla normativa olandese che prevede, come condizione per ottenere l’autorizzazione, che il trattamento erogato dall’operatore straniero sia “necessario”.
La Corte afferma che la “necessità” del trattamento possa ritenersi inesistente soltanto nel caso in cui cure identiche o egualmente efficaci rispetto a quelle prestate all’estero siano “tempestivamente” ottenibili dal paziente in una struttura del sistema sanitario di appartenenza.
Ancora una volta la Corte entra nel merito delle scelte adottate da uno Stato membro nell’organizzazione del proprio sistema sanitario, con conseguente ulteriore erosione della capacità statale di programmare e controllare la spesa sociale.

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