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La risposta politica all’attivismo della Corte di Giustizia


La giurisprudenza della Corte ha incontrato forti resistenze, ed in alcuni casi aperta ostilità, da parte degli Stati membri, poco propensi a rinunciare al loro potere di decidere come e quando accollarsi le spese mediche sostenute in altri Stati membri da soggetti iscritti ai sistemi sanitari nazionali.
Diversi Stati dell’UE hanno semplicemente ignorato la recente giurisprudenza comunitaria; ne è conseguito un quadro di grande incertezza che non va a vantaggio di nessuno.
Le decisioni dei giudici della Corte di Giustizia hanno innestato un serrato confronto tra istituzioni comunitarie e Stati membri.
L’attivismo sul piano delle fonti soft del diritto comunitario non si è tradotto in passi in avanti nell’evoluzione della normativa derivata, segno evidente dell’assenza di una comune volontà degli Stati membri di dare un assetto stabile alla disciplina in questione.
Come per altre materie “socialmente sensibili”, si è inteso in tal modo esprimere la volontà politica di preservare il settore della sanità pubblica dalla dinamiche dell’integrazione del mercato interno.
È evidente che per perseguire un simile obiettivo non è sufficiente la scelta astensionistica del legislatore comunitario, dal momento che senza un intervento normativo che consenta agli stati di riappropriarsi del perduto controllo sulla gestione della spesa sanitaria, la materia resta semplicemente regolata dai principi sin qui richiamati elaborati dalla Corte.
Un simile intervento normativo potrebbe configurare scenari di contrasto aperto tra Corte di Giustizia e potere legislativo comunitario, ma potrebbe anche indurre la Corte di Giustizia ad un approccio più prudente e meno invasivo delle prerogative statali in materia.
Non ci sono però segnali che indicano la volontà di muoversi in tal senso.
Il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a farsi promotrice di un’autonoma proposta di direttiva relativa ai servizi sanitari.
I risultati di questa nuova fase di consultazione possono essere vari, come indicato dalla stessa Commissione: la soluzione dell’adozione di uno strumento giuridico vincolante resta quella preferibile, essendo la sola capace di dare risposta alle esigenze di certezza sollevate dalla giurisprudenza della Corte.
E d’altra parte sino ad oggi è mancata qualsiasi azione congiunta da parte degli Stati, che si sono limitati ad attuare una sorta di resistenza passiva incapace di tradursi in iniziative propositive sul piano dell’ordinamento comunitario.
Una simile strategia, che mira ad impedire lo sviluppo del processo di integrazione positiva, sembra segnare l’attuale fase di evoluzione del diritto dell’UE.
Essa è spesso presentata come espressione della volontà di proteggere i sistemi di welfare dagli effetti intrusivi del mercato, ma in realtà sortisce l’unico risultato di lasciare gli stessi più esposti alle dinamiche dell’integrazione negativa.
Dinamiche che, in assenza di decisioni del potere politico, la Corte di Giustizia è costretta a governare con la sola bussola delle norme poste dal Trattato CE a fondamento del mercato interno.

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