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L’oggettiva impossibilità temporanea della prestazione di lavoro


Occorre distinguere dall’ipotesi della mora, e cioè della mancata volontaria cooperazione del creditore all’adempimento, i casi di interruzione del lavoro o sospensione dell’attività aziendale dipendenti da fatti direttamente o indirettamente riconducibili all’organizzazione produttiva dell’impresa e tali da determinare l’oggettiva impossibilità temporanea della prestazione lavorativa (mancanza di energia, interruzione funzionamento macchinari, ecc…).
In questo caso, la regola generale è che l’impossibilità temporanea della prestazione determina la sospensione del rapporto senza diritto del prestatore alla retribuzione ed è solo parzialmente derogata dal r.d.l. 1825/24 sull’impiego privato, il quale prevede espressamente che l’impiegato ha diritto alla retribuzione normale (è questo un elemento tradizionale di distinzione tra impiegati e operai).
Si tratta, peraltro, di una deroga più apparente che reale, tenuto conto che la conservazione della retribuzione è subordinata alla volontà dell’imprenditore, il quale può sempre liberarsi dal relativo obbligo optando per la risoluzione anziché per la sospensione del rapporto.
In ogni caso, la materia trova la sua precipua e più ampia fonte di regolamentazione nei contratti collettivi,i quali di solito disciplinano gli effetti della sospensione dell’attività produttiva, ponendo a carico dell’imprenditore le sospensioni di breve durata (c.d. soste) che il datore di lavoro è obbligato a retribuire entro un determinato limite massimo (di solito intorno alle 2 ore giornaliere); superato tale limite, invece, è prevista la sospensione del rapporto, poiché l’imprenditore è autorizzato a “mettere in libertà” i lavoratori senza essere ulteriormente obbligato al pagamento della retribuzione.
A questa conseguenza negativa, che vede i lavoratori privati della retribuzione per effetto dell’interruzione dell’attività aziendale, si può peraltro ovviare attraverso l’intervento della Cassa Integrazione Guadagni.

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