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La tutela del lavoro minorile


L’obiettivo della tutela della salute e della capacità di lavoro come attitudine fisiologica della persona alla prestazione delle energie lavorative è alla base della normativa posta a tutela del lavoro dei minori.
Quest’ultima ha lo scopo di limitare l’età minima di ammissione al lavoro e di proibire l’occupazione dei giovani di età inferiore ai 18 anni in condizioni di impiego che risultino particolarmente gravose o inadatte per faticosità, pericolosità o insalubrità.
In forza dell’attuale disciplina contenuta nella l. 977/67 (così come modificata dal d.lgs. 345/99), occorre distinguere nell’ambito dei minori di 18 anni, i “bambini”, cioè i minori che non hanno compiuto i 15 anni o che sono ancora soggetti all’obbligo scolastico, e gli “adolescenti”, e cioè i minori compresi fra i 15 e i 18 anni non più soggetti all’obbligo scolastico.
Ciò posto, la legge fissa un’età minima di ammissione al lavoro con riferimento al momento in cui il minore concluda il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non prima dei 16 anni.
Fermi restando questi limiti di ammissione al lavoro, la tutela dei minori è incentrata sull’imposizione di limiti in materia di orario di lavoro, sul divieto del lavoro notturno, sull’obbligo di riposi intermedi e settimanali, di ferie annuali, e sulla predisposizione di un robusto apparato di sanzioni penali e amministrative.
Inoltre, la legge indica lavorazioni, processi o lavori cui è vietato adibire anche gli adolescenti, salvo che essi siano svolti per finalità formative specificamente autorizzate, e sotto la stretta sorveglianza di formatori competenti anche sul versante della sicurezza.
Va notato come attraverso i divieti di adibizione al lavoro e le ipotesi di esclusione dal lavoro a causa dell’età, la disciplina protettiva imponga limiti all’autonomia privata sanzionati a pena di nullità: con la conseguente applicazione del disposto dell’art. 21262 c.c.

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