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Nietzsche: antiliberale, antidemocratico e antisocialista – Arno Mayer

Nietzsche:  antiliberale, antidemocratico e antisocialista – Arno Mayer


Il principale menestrello di questa battaglia fu Nietzsche, il cui pensiero fu compattamente antiliberale, antidemocratico e antisocialista. Per lui il mondo era caratterizzato dalla lotta permanente non già per la sopravvivenza, ma per il dominio creativo, per lo sfruttamento e l’assoggettamento. Per lui la Grecia classica ed il Rinascimento erano esempi luminosi di società di elite, in cui nobiltà ristrette avevano promosso l’alta cultura con un sovrano disdegno per le plebi.

La sua critica della modernità aveva un carattere largamente politico. L’idea di Nietzsche era che in tutta l’Europa, con la sola eccezione della Russia, volontà ed autorità stessero degenerando sotto l’influenza corrosiva della borghesia, cui andava il suo ossessivo disprezzo. In Germania Nietzsche criticò le vecchie élites e Bismarck per essere scesi a patti con le plebi ma nell’insieme nutriva per questi stima per chi aveva risparmiato alla Germania la superstizione delle maggioranze. Ammirava la Russia perché sapeva mantenere intatto il proprio vecchio ordine. La sua speranza era che il regime zarista incitasse l’Europa occidentale ad abbandonare la sua frammentazione politica per associarsi e divenire un centro culturale paragonabile alla Grecia sotto il dominio romano.

Ma siccome un’Europa unificata non rientrava nell’orizzonte del futuro immediato, Nietzsche cercò di venire a patti con il mondo contemporaneo, pur non accettando mai, ad esempio, l’ascesa della borghesia, disprezzati in quanto incapaci dell’impulso dionisiaco e della tensione dialettica indispensabili all’autentica creatività. Le pretese della democrazia erano invero la principale sventura dei tempi moderni. Nietzsche denunciò Rousseau come l’idealista e la canaglia che aveva infuso nella rivoluzione la moralità e la dottrina dell’uguaglianza, che erano i più velenosi di tutti i veleni.

In definitiva, Nietzsche guardò ad una casta di padroni, di esseri superiori capaci di articolare e realizzare le visioni ed i valori trasfigurati di un immaginato passato aristocratico. Gli aristocratici autentici erano sempre pronti alla crudeltà ed a sacrificare con chiara consapevolezza vaste schiere di esseri umani, i quali dovevano venir umiliati e ridotti alla condizioni di un’umanità di rango inferiore, ad uno status di schiavi e meri strumenti. La vita null’altro era che volontà di potenza, non temperata da simpatia, compassione o benevolenza verso gli inferiori.

Sia il credo social-darwinista che quello nitzschiano mettevano in evidenza la divisione della società fra minoranze dominanti, con le loro superiori qualità, da un lato e moltitudini con le loro avvilenti passioni dall’altro. Si riteneva che le minoranze dominatrici possedessero la capacità di prendere decisioni, ponderate, razionali e morali: una capacità che le masse non avrebbero mai potuto acquisire. Inoltre le élites si raccomandavano per il loro onore, coraggio ed onestà. Il borghese era inadatto a far parte della classe politica perché non soltanto gli facevano difetto queste venerate qualità ma era altresì sospettato di dar mano alla dissoluzione del vecchio ordine. Ma, anziché attaccare direttamente il borghese, essi inveirono contro il filisteo e l’ebreo, più per quest’ultimo, che incarnava tutto ciò che era liberale, democratico, anticlericale, cosmopolita, pacifista e che inoltre, essendo mercante e trafficante, assumeva le sembianze dell’avido e ingannatore.

Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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