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I principi degli atti umani in Tommaso d’Aquino - Summa Theologiae


“Dopo gli atti e le passioni si devono considerare i principi degli atti umani. Primo, i principi intrinseci. Principi intrinseci sono le potenze e gli abiti; ma avendo noi già trattato delle potenze nella Prima Parte, rimane ora da trattare degli abiti. Prima degli abiti in generale; e quindi delle virtù e dei vizi e di tutti gli altri abiti, che sono principi degli atti umani.”

Tommaso ritiene di chiamare gli habitus  principi interiori. Nozione di causa: responsabilità dell'uomo. Nozione di principio: ciò da cui prendiamo ispirazione, l'origine. I principi interni sono i vizi e le virtù.

Cit 36 - Tommaso d’Aquino - Summa Theologiae
Eccoci a trattare dei principi esterni dei nostri atti. Ora, il principio esterno che inclina al male, è il demonio, e di esso abbiamo già parlato nella Prima Parte, trattando della tentazione. Invece il principio che spinge al bene dall'esterno è Dio, il quale ci istruisce mediante la legge, e ci aiuta mediante la grazia. Perciò prima tratteremo della legge, quindi della grazia.

I principi estrinsechi sono qualcosa che rompono la routine, sono un'alternativa a cui pensiamo. Le leggi e le tentazioni propongono qualcosa di nuovo alle abitudini, le leggi dovrebbero aiutarci a tendere al bene mentre le tentazioni vogliono portarci a qls di non buono. → quello che ci spinge al nuovo può avere una doppia intenzionalità. Quando agisco spontaneamente si passa dall'habitus e si risolvono le cose (freno in macchina), quando mi fermo e sono indeciso, si apre la riflessione. Dentro lo spazio di riflessione a entrare è qualcosa di nuovo che ci attrae, sembra migliore rispetto all'abitudine, ci sembra buono per la nostra vita. → la tentazione per gli antichi si presenta come qls di interessante, poi magari si scopre che non lo è! Riprendendo qui il brano di Platone con la storia di Leonzio; scegliere significa dare ascolto ad una delle voci diverse, se alle tentazioni o alle leggi. Leonzio sceglie la spontaneità, trovando sia la legge (non guardare) che la tentazione (guardare). Ma come si arriva alla decisione?
- suggestione;
- colloquio, lasciare spazio al pensiero;
- combattimento, ipotesi, diventa un chiodo fisso;
- consenso, se smetto di pensarci è perché ho preso una decisione tra le ipotesi operative;
– passione, il pensiero entra e a forza di reiterarlo entra nei miei habitus. Es. entro in una stanza e due smettono di parlare, subito penso che stanno parlando male di me; dopo per una cosa da niente penso che stanno parlando male di me. Qui sto agendo in virtù di qualcosa che reputo buono, è un'apparenza di bene perché solo dopo averle fatte mi accorgo realmente se era bene o no. Sono tutte scelte che reiterate fanno il nostro modo di agire. Noi non coincidiamo con ciò che pensiamo ma in base alle nostre decisioni, è normale pensare male.

I vizi capitali:
versione latina: avarizia, gola, lussuria, ira, accidia, superbia, invidia (tot:7); versione greca: avarizia, gola, lussuria, ira, accidia, superbia, invidia, vanagloria, tristezza (tot:9). Questi sono delle grandi categorie di vizi, da ognuna di queste radici (caput, capo) derivano gli altri vizi. Per alcuni autori (Evagrio Pontico → greco, ne ha 9) sono considerati come delle suggestioni, per altri (Gregorio Magno → latino, ne ha 7) come degli habitus.

Evagrio:
rappresentano una serie di ambiti di vita che non si possono togliere, sono relazioni necessarie.
Ingordigia, relazione con il cibo, quando non riusciamo a vivere il rapporto con il cibo in maniera distaccata, attraverso la distanza (il digiuno), il rapporto con il cibo va gestito umanamente.
Fornicazione, rapporto fisico, contano le immagini nel rapporto con gli altri, bisogna fare attenzione al carico di immagini per tenere controllato il nostro equilibrio.
Avarizia, rapporto con i beni, tema dell'indecisione.
Tristezza, rapporto con il tempo, si è trsiti quando si pensa al passato che non esiste più (il rimpianto), quando una persona ha progetto per il futuro che non possono realizzarsi, far dipendere la mia azione di oggi a quello che accadrà in futuro, cambiamenti che dipendano da altro non derivano da me; si è agganciati ad un futuro che non arriva mai e ad un passato che non ritorna.
Ira, rapporto con gli altri o con il conflitto, es. vivere un conflitto sul lavoro e scaricarlo sulla famiglia, su chi è più debole o comprensibile, oppure come rapporto con l'esigenza di affermarsi.
Accidia, rapporto con lo spazio, depressione/pigrizia o irrequietezza, un sintomo è il cambiamento continuo (es. guardaroba) → es. monaco che studia passa dalla sedia alla finestra.
Vanagloria, relazione con i ruoli, attenzione all'opinione che gli altri hanno di noi; identificarsi troppo in un ruolo che diventa irrinunciabile.
Superbia,rapporto con sé stessi, è una sovramanifestazione di sé, anche la polarità di sentirsi una nullità, senza autostima.

In tutti questi legami si può trovare il punto irrinunciabile per la persona. Cosa chiediamo a questi ambiti? Felicità o salvezza? Nel secondo caso è un problema.

Tratto da ANTROPOLOGIA APPLICATA di Chiara Trattenero
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