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Il desiderio dell'uomo: Tommaso d'Aquino – Summa Theologiae

“È necessario che tutti gli agenti agiscano per un fine. Infatti in una serie di cause ordinate tra loro, non si può eliminare la prima, senza eliminare anche le altre. Ma la prima delle cause è la causa finale. E lo dimostra il fatto che la materia non raggiunge la forma, senza la mozione della causa agente: poiché nessuna cosa può passare da se stessa dalla potenza all'atto. Ma la causa agente non muove senza mirare al fine. Infatti, se l'agente non fosse determinato a un dato effetto, non verrebbe mai a compiere una cosa piuttosto che un'altra: e quindi, perché produca un dato effetto è necessario che venga determinato a una cosa definita, la quale acquista così la ragione di fine"
Per Aristotele le cause si dividono in:
- formale, il tipo di realtà che ho davanti, es. la torta sopra il tavolo è un plum cake;
- materiale, gli elementi che spiegano l'oggetto particolare, es. ingredienti della torta sul tavolo (quella lì);
- efficiente, es. chi ha fatto la torta;
- finale, es. perchè la torta è lì.
Per spiegare le cose non si può fare a meno di queste domande. Un evento naturale si distingue da un evento dove c'è di mezzo l'uomo perchè vi è un progetto, la causa finale.
Ognuno agisce guardando ad un obbiettivo da raggiungere. Con “la prima delle cause è la causa finale” intende che di solito c'è un ordine, prima vi è la causa e poi l'effetto di essa. Quando si analizzano le cose dell'uomo la prima domanda è chiedersi il perché anche se la causa finale cronologicamente sta alla fine nel futuro, non come le altre cause che si situano prima degli effetti. La causa finale anche se non è presente in questo momento genera degli effetti sul presente (es. la laurea come obbiettivo e adesso sto studiando). (A)


“Circa l’oggetto della speranza occorre vi siano quattro condizioni. Primo, che ci sia un bene: propriamente non esiste speranza se non del bene. E per questo la speranza differisce dal timore, che è timore del male. Secondo, che riguardi il futuro: non c’è speranza delle cose presenti già raggiunte. Terzo: è richiesto che sia qualcosa di arduo, raggiungibile con difficoltà: non si dice infatti si sperare cose da poco, che subito possono essere ottenute. Quarto, che quelle cose ardue siano tuttavia raggiungibili: infatti nessuno spera ciò che in ogni caso non potrà raggiungere. E per questi motivi la speranza differisce dalla disperazione.”
La speranza in qualcosa richiede 4 condizioni:
che vi sia un bene per noi (qualcosa di positivo); → desidero qls in + per la mia vita
che riguarda il futuro (es. laurea futura);
comporta tempo e difficoltà, è arduo da raggiungere (spero che...);
sia raggiungibile (se la persona non vede il futuro come raggiungibile scende la disperazione che blocca il desiderio perché non ha senso fare qualcosa – statico). Ad esempio gli utenti che sperano in qualcosa di inadeguato alla loro vita, hanno delle attese sproporzionate si disperano e questo blocca la loro vita.


“Diremo che in questa vita si può sperimentare una certa felicità, ma non la vera e perfetta felicità. Lo si può considerare da due punti di vista. Anzitutto analizzando il significato comune di felicità. Infatti la felicità, essendo il bene perfetto e bastevole, esclude ogni male e colma ogni desiderio. Ma in questa vita non possiamo escludere ogni male. La vita presente è infatti soggetta a molti mali, che non possono essere evitati: l’ignoranza, gli squilibri affettivi, le malattie, come spiega Agostino nel De civitate Dei (XIX, cap. 4 - PL 41, 628). Allo stesso modo anche il desiderio di felicità non può essere saziato in questa vita: l’uomo desidera infatti per natura la permanenza della felicità di cui gode. Ma i beni della vita presente sono transitori: passano, proprio come passa la vita, che noi naturalmente desideriamo, e che vorremmo durasse in eterno; poiché l’uomo per natura rifugge la morte. Perciò è impossibile che in questa vita si raggiunga la perfetta felicità.”


Tratto da ANTROPOLOGIA APPLICATA di Chiara Trattenero
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