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1969: il congresso della CGIL


La stagione dei congressi confederali fu aperta a Livorno dalla CGIL, nel giugno 1969. La prima questione da affrontare era quella relativa ai rapporti con i partiti ed in particolare con il PCI. La componente socialista chiese esplicitamente il varo delle incompatibilità a tutti i livelli suscitando i dubbi e le perplessità dei dirigenti comunisti che temevano una spoliticizzazione del sindacato. Inoltre, lo spontaneismo del movimento alla base che si arrogava il diritto di avanzare rivendicazioni al di fuori delle organizzazioni tradizionali di guida della classe operaia, per i dirigenti del PCI e per i comunisti della CGIL appariva sospetto e pericoloso.
Durante il congresso non mancarono critiche verso quel fenomeno di cui, solo più tardi, la CGIL divenne coprotagonista, ossia il pansindacalismo: esso stava ad indicare il trasferimento di competenze  ed iniziative, alla base e ai vertici, dal partito al sindacato (più tardi il termine finì con l'indicare anche la pervasività istituzionale del sindacato). Le pressioni dal basso che legava incompatibilità, autonomia e unità sindacale non permisero un ulteriore rinvio e così si pervenne al varo dell'incompatibilità fra cariche di direzione sindacale e mandato parlamentare e tra mandato sindacale e uffici politici dei partiti.
Dubbi, sospetti e incertezze riguardarono anche la questione dei delegati e delle nuove forme di democrazia di base che essi rappresentavano: da parte di Scheda e Trentin ci furono parole di difesa nei confronti delle tradizionali SSA e Cl; Giovannini, leader della FIOM, suggerì invece di lasciare al proprio destino forme di rappresentanza in fabbrica ormai desuete e di favorire il contatto con i gruppi emergenti (linea condivisa da Lama).
In tema di egualitarismo Lama e Trentin furono critici perché tale orientamento penalizzava le professionalità acquisite dai lavoratori anche in quel momento rappresentava l'unica strada per tenere unita nell'azione rivendicativa la classe operaia con tutto il resto del mondo del lavoro.
Il congresso, inoltre, riuscì a convertire il sindacato verso il sostegno alla politica delle riforme senza che ciò significasse il suo coinvolgimento in tema di programmazione economica: tale conversione riportò il sindacato nell'ambito della tradizionale politica rivendicativa caratterizzata dall'idea del salario come "variabile indipendente" (così come definito da Novella).

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