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Anni 90: la nuova scala mobile


Nel dicembre del 1989 giungeva a scadenza l'accordo fra le parti sociali sulla scala mobile.
In maggio era stata aperta la crisi di governo per le dimissioni di De Mita. E' in questo clima che la CONFINDUSTRIA pone di nuovo su tavolo della trattativa la scala mobile, senza arrivare ad usare l'arma della denuncia unilaterale (grazie alle pressioni politiche sul presidente Pininfarina). Il 29 giugno CGII e le Confederazioni sindacali si accordarono sul rinvio di un anno della disdetta previo accordo fra le parti.

Nonostante le forti pressioni che venivano da CISL e UIL per la piena accettazione della politica dei redditi e della concertazione, Trentin si muoveva con passi molto lenti e graduali su questa via che nella CGIL si intrecciava con l'altra della riforma interna e dell'abolizione delle correnti. Solo nell'ottobre 1990 si giunse allo scioglimento della corrente comunista. Quella socialista fu ufficialmente sciolta un anno dopo. Durante il congresso nazionale nell'ottobre 1991 Trentin manifestò il suo disappunto per i numerosi ostacoli interni che impedivano il cambiamento: emergevano le difficoltà del segretario, ostacolato dall'opposizione interna guidata da Bertinotti, di approdare al "sindacato dei cittadini", corresponsabile delle scelte di sviluppo e risanamento.

Nel maggio 1990, un ulteriore rinvio della scala mobile approvato alla Camera dalla Commissione lavoro, provocò irrigidimento delle parti.
La CONFINDUSTRIA la disdettò il 19 giugno e le tre Confederazioni, di conseguenza, proclamarono lo sciopero nazionale per l'11 luglio (data lontana per consentire una mediazione del Ministro del Lavoro Donat Cattin).
La rapida approvazione il 6 luglio della "leggina" che prorogava a tutto il 1991 la scala mobile e la contestuale garanzia del governo di venire incontro con la legge finanziaria alle esigenze degli industriali, ricomposero il conflitto.

Intanto alcuni eventi di quei mesi indicavano il mutamento in atto nelle relazioni industriali. Il primo fatto di rilievo fu la firma il 1° marzo 1991 dell'accordo interconfederale (recepito, poi, dal protocollo del luglio '93) che diede avvio alle Rappresentanze sindacali unitarie (RSU) in sostituzione delle RSA previste nell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori. Tale accordo aveva una rilevanza duplice: sotto il profilo dei rapporti tra le Confederazioni, si intraprendeva la strada della convergenza suddividendo in modo paritetico un terzo dei seggi riservati alle organizzazioni che stipulavano CCNL; sotto il profilo dei rapporti tra le Confederazioni e i sindacati autonomi la riserva dei due terzi dei seggi alla libera elezione di tutti i lavoratori, era indicativa della volontà di apertura. Va ricordato che, successivamente, il referendum del giugno 1995, ha indebolito la riserva di un terzo a favore delle Confederazioni firmatarie del CCNL.
E' utile ricordare anche i cambiamenti ai vertici delle Confederazioni: D'Antoni sostituisce Marini alla CISL (Aprile 1991); Larizza sostituisce Benvenuto alla UIL (gennaio 1992); Cofferati sostituisce Trentin alla CGIL (estate 1994).

Tornando alla scala mobile, ricordiamo che il negoziato ripartì nel giugno 1991 presentando posizioni distanti. Sostanzialmente solo la CGIL difendeva il principio della scala mobile, sia pure in un quadro programmato, mentre la CISL rivendicava la tutela al 100% solo del salario minimo e la CONFINDUSTRIA si opponeva a qualsiasi forma di indicizzazione. A sbloccare la situazione, intervennero tre eventi: la successione di Abete a Pininfarina alla guida della CGII; la crisi politica prodotta dalle elezioni dell'aprile 1992; la costituzione a fine giugno del governo Amato che assunse immediatamente i connotati di un gabinetto dell'emergenza economica.

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