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Attribuzione del merito del crollo del muro di Berlino in "Passato Presente"

Attribuzione del merito del crollo del muro di Berlino

Volendo considerare questi due paragrafi riferiti alla Germania nel loro complesso, possiamo notare come il merito del crollo del muro sia attribuito alla volontà della popolazione tedesca dell'Est e favorito dalla situazione politica dei paesi dell'Est nel loro complesso (e in particolare all'atteggiamento non interventista di Gorbacev); quello dell'unificazione della Germania è invece attribuito a Kohl ed anche a Bush. Del muro è rimarcato più volte il valore simbolico (il «simbolo della divisione dell'Europa», la «cortina di ferro», «simbolo dell'odio e della divisione») e il suo crollo è visto come un fatto inevitabilmente positivo (la popolazione lo «abbatte»- ovviamente metaforicamente, ma l'enunciatore non lo specifica – «senza incontrare ostacoli nell'opera di rimozione di questo simbolo dell'odio e della divisione»). L'unificazione della Germania simboleggia invece per l'enunciatore «la fine della guerra fredda, la fine di una intera epoca». Infatti così finisce l'unità di apprendimento, che pure indicava nel titolo  - Il "lungo dopoguerra" (1948-1991) - come data di confine il 1991, ovvero il crollo dell'Urss. Ma probabilmente all'autore sembrava più d'effetto chiudere con un'immagine conosciuta e metaforicamente calzante come quella della caduta del muro di Berlino. 
La foto riferita a questo paragrafo ha anch'essa una valenza simbolica: è un grande simbolo falce-martello addossato al muro di un palazzo. Anche qui l'immagine non è un'immagine documento perché non è contestualizzata dal punto di vista geografico o temporale: il focus è tutto sul simbolo rosso. La didascalia spiega: «La falce e il martello, simboli del regime comunista della Germania orientale [?], giacciono abbandonati in una strada di Berlino Est».
Un focus sul muro, anche qui descritto nella sua valenza simbolica, si trova nel primo capitolo di questa unità (Il "lungo dopoguerra"). Questo focus è intitolato appunto Berlino, un simbolo e accosta un breve testo a due immagini contrapposte che occupano tutto lo spazio della pagina. La didascalia indica: «Il muro di Berlino al tempo della sua edificazione nel 1961 (sopra) e del suo abbattimento nel 1989 (sotto)». La prima immagine, in bianco e nero e molto sfocata, ha come soggetto un uomo (o l'ombra di un uomo: non se ne intravedono i tratti, è tutto nero, completamente spersonalizzato: quasi ad indicare la "disumanizzazione" di chi viveva nella Germania dell'Est, ad opera del regime comunista) che cammina su una strada a fianco al muro, che è in costruzione e ha sulla sommità una recinzione di filo spinato. L'altra è una foto a colori che ritrae delle persone (sembrano ragazzi) seduti a cavalcioni sul muro, mentre ai piedi del muro molti militari osservano la scena senza intervenire. Anche con queste immagini siamo nel campo della valorizzazione mitica.  Il testo spiega che «se c'è un luogo simbolico del mondo contemporaneo, capace di condensare in se stesso il significato di un'intera epoca, questo è Berlino». Addirittura, prosegue l'enunciatore, «Berlino condensa in sé la storia dell'Occidente nel secondo dopoguerra e può diventare simbolo della sua [dell'Europa] riunificazione». Anche qui si parla delle «rivoluzioni democratiche» (soggetto) che «hanno sconfitto i regimi del socialismo reale» (opponente). La conclusione è che «Simbolo della divisione dell'Europa, Berlino può esserlo anche del suo futuro, con le speranze e i problemi che questo comporta». Siamo quindi nella fase narrativa della sanzione: la caduta del muro insegna qualcosa di utile per il futuro. È l'idea dell'historia magistra vitae, predicata dall'enunciatore nelle premesse del volume (quando parlava di «mettere a fuoco il senso e il significato che il passato può avere per noi»)

Tratto da SAGGIO SUL MURO DI BERLINO di Isabella Baricchi
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