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Gli attori e la recitazione


Se è difficile schematizzare le posizioni della cinepresa in una scena, riassumere in breve il problema della direzione degli attori è impossibile. Dirigere gli attori può significare anche disporli sul set come pedine (per Hitchcock “gli attori sono bestiame”). In realtà, quasi sempre dirigere un attore significa dargli le coordinate perché questi possa scoprire l’intenzione di ciò che deve fare.

Il problema dell’attore cinematografico è di non poter recitare in continuità, davanti a un pubblico come a teatro. Il rischio è che l’interpretazione risulti sminuzzata in una miriade di battute e movimenti senza un’unità complessiva (di ciò Pirandello accusa il cinema in I quaderni di Serafino Gubbio operatore). Compito del regista è guidare l’attore a mantenere la coerenza del personaggio.

Il punto essenziale è riuscire a far sì che l’attore agisca il personaggio, e non lo faccia; non replichi i suoi atteggiamenti ma li viva come propri. Il cinema è impietoso nel registrare la verità e la falsità di un atteggiamento o di un volto, e trattare un attore come un burattino che replichi gesti e inflessioni è l’errore più grossolano del regista. Più che invitare l’attore a ritrovare un vissuto personale, al cinema sarà utile provocarlo, farlo reagire, lavorare sulle sue condizioni psicologiche.

Un elemento determinante nel rapporto con l’attore è infine anche il numero di ciak per la stessa inquadratura. Ci sono registi che fanno molte prove ma poi limitano le riprese per salvaguardare la freschezza della recitazione e, all’opposto, registi che accumulano le riprese per ottenere dall’attore, attraverso la tensione e la fatica, una particolare intensità.

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