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Intervento della Corte costituzionale in materia di prescrizione

Prescrizione e decadenza, secondo quanto abbiamo detto, producendo la perdita o la preclusione dell'esercizio del diritto, di fatto realizzano quanto previsto dalla rinunzia o dalla transazione: il lavoratore perde una situazione di vantaggio, un vero e proprio diritto soggettivo. Questo avrebbe dovuto portare, secondo una parte della dottrina, a decretare l'imprescrittibilità e l'indisponibilità dei diritti del prestatore di lavoro. La Corte costituzionale, con la sentenza 63/1966, è intervenuta in materia dichiarando l'illegittimità di alcuni articoli del codice (2948 n.4, 2955 n.2 e 2956 n.1) nella parte in cui prevedono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra in pendenza del rapporto di lavoro. Il diritto alla retribuzione è un diritto costituzionalmente garantito, al pari della situazione soggettiva di sottoprotezione sociale del lavoratore, il quale, nel timore di un eventuale licenziamento, potrebbe non agire, rimanendo così inerte, per far valere il proprio diritto alla retribuzione. La Corte ha previsto il differimento del termine per la prescrizione alla fine del rapporto: solo da quel momento acquista rilievo l'inerzia del prestatore. Stessa cosa vale per la decadenza. 
Si tratta di un vero e proprio esempio di giurisprudenza creativa ed innovativa, configurandosi la suddetta sentenza come “manipolativa di illegittimità parziale”.

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Alessandra Infante
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