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Il mediatore del sangue nel Kanun


Ottenuta la tregua del villaggio, la famiglia dell’uccisore deve inviare un “mediatore del sangue” per chiedere la pacificazione del sangue e un guidrigildo per liberare la famiglia dalla vendetta.
A differenza del “mediatore della tregua”, che svolge il suo compito senza fini di lucro, il “mediatore del sangue”, come definito dal § 965, cerca di indurre la famiglia dell’ucciso a riconciliarsi con quella dell’uccisore e ne ottiene un profitto.
La pacificazione si compone dunque di due momenti: un momento privato, in cui la famiglia dell’ucciso deve essere convinta a soprassedere all’applicazione della vendetta di sangue, e uno pubblico di rinuncia alla vendetta e di accettazione del riscatto.
Lentamente si era venuta affermando una prassi sociale che, in misura dapprima limitata e via via sempre più estesa, aveva limitato le vendette private.
Se il riscatto veniva accettato, chi lo riceveva (nel corso di una solenne cerimonia pubblica) otteneva solenne soddisfazione del torto subito.
La popolazione intera, infatti, assisteva alla cerimonia della consegna e così constatava che l’offensore aveva implicitamente ammesso di “non poter sostenere la rappresaglia”.
Il “prezzo del sangue”, istituto molto conosciuto e menzionato anche nel Corano, non era però affidato all’arbitrio della famiglia dell’ucciso, né a quello della famiglia dell’omicida.
Bisognava riferirsi a una “tabella” stabilita in precedenza.
In una società onorata, quale quella albanese, ritenere che un defunto sia inferiore ad un altro avrebbe significato la rottura irrimediabile fra le due famiglie, quella dell’omicida e quella della vittima, e la ricaduta nella faida.
Muovendo dal principio che tutti i maschi sono uguali, il Kanun considera giusta ed equa la tabella: il prezzo del sangue ha un unico parametro, il valore della vita.
Donde la seguente regola, sancita al § 892: “chi uccide un individuo sia maschio o femmina, ragazzo o ragazza, sia anche infante, bello o brutto, autorità, giudice facente parte del tribunale, ricco o povero, nobile o plebeo, subisce la stessa pena, e cioè: 6 borse in moneta, 100 montoni e mezzo bove di multa.

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