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Forze che spingono alla disintegrazione delle aziende

SVILUPPI TECNOLOGICI : ci possono essere degli sviluppi tecnologici che possono portare attraverso l’innovazione del processo a rendere competitivi e convenienti differenti modelli organizzativo. Ad esempio la siderurgia è uno dei tipici settori in cui la tecnologia ha operato a favore dell’integrazione verticale. Se si compra il ferro e lo si trasforma in acciaio è conveniente l’integrazione verticale. Esiste però un secondo modo di produrre acciaio, che non utilizza il ferro, ma usa i rottami di ferro recuperati. In questo caso non si usa l’altoforno, ma si usa il forno elettrico. L’uso dei rottami di ferro non richiede un processo integralmente verticale. Allora in questo caso abbiamo delle acciaierie che fanno solo alcune fasi.
Un altro settore è quello della birra: le principali fasi di produzione della birra sono la fabbricazione della birra non fermentata, fermentazione. Una volta tutto questo avveniva in un unico stabilimento. Oggi queste fasi possono essere separati, perché trasportare la birra fermentata non è più proibitiva, e si possono fare stabilimenti di imbottigliamento più vicini al mercato di sbocco.
ESIGENZE DI QUALITÀ : un processo produttivo molto lungo rischia che il controllo di qualità venga fatto alla fine del processo e non fase per fase. Se si hanno grosse esigenze qualitative, è opportuno avere un sistema di produzione a stadi separati.
Ad esempio i prodotti per l’aereonautica o per la difesa.
In un ciclo produttivo ci possono essere diverse dimensioni ottimali che creano dei problemi. Ad esempio la produzione di frigoriferi, congelatori e lavatrici è composta da 5 fasi:
1. taglio, piegatura e saldatura del ferro : in questa fase la dimensione ottimale è di 200 mila pezzi;
2. isolamento di un frigorifero : 500 mila pezzi;
3. verniciatura : 300/400 mila pezzi;
4. compressore : 5 milioni di pezzi;
5. montaggio : 250 mila pezzi.
Cosa farà un’azienda che produce frigoriferi: Seguirà una strategia di integrazione o di disintegrazione verticale: La regola seguita in questi casi è che la dimensione ottima è di 1 milione, perché è il minimo comune multiplo di tutte le fasi escluso il compressore. Se espelle dall’azienda le dimensione che va molto al di là della potenzialità del mercato. C’è quindi una spinta alla non integrazione o alla disintegrazione. Dove abbiamo dimensioni diversi il problema lo si risolve facendo il minimo comune multiplo.
VANTAGGI NELLA PROMOZIONE DELLE VENDITE : la fase finale di assemblaggio e la distribuzione del bene viene tenuta separata quando si vogliono dare caratterizzazioni differenziali al bene stesso. L’industria dell’auto è un tipico esempio.
La disintegrazione facilita il controllo qualità, perché ognuna delle imprese integrata nel processo fa il controllo qualità.
Quando un’impresa sa che l’accesso alle fonti di offerta e ai mercati è garantito, può scegliere di non integrare queste fasi. Ad esempio se so che i minerali di ferro sono abbondanti in giro per il mondo, non ho problemi di integrazione. Mentre se si trovano solo in un paese restrittivo.
C’è una birra inglese che è venduta in tutti i pub, la Guinnes, e quindi non è integrata. I proprietari della Guinnes hanno quindi preferito investire le loro risorse in altre attività.
Coose e Williamson dicono che l’uso del mercato ha dei costi, quindi nella scelta di integrazione e disintegrazione verticale bisogna tenere conto dei costi d’uso del mercato (costi di transazione).
Coose dice che l’elemento caratterizzante di un’azienda è di sostituirsi al meccanismo dei prezzi, cioè al meccanismo di mercato. Il meccanismo di mercato all’interno dell’impresa viene eliminato perché viene rimpiazzato da un sistema di procedure che determinano l’allocazione delle risorse. Nell’impresa le relazioni tra le varie fasi del ciclo produttivo non sono regolate dal sistema dei prezzi, ci sono dei tentativi di introdurre forme di quasi mercato all’interno dell’impresa, però di fatto sono costi fittizi, ipotizzati, non è detto che siano i costi veri e propri. All’esterno di un’impresa l’allocazione delle risorse è invece guidata dal meccanismo dei prezzi.
La risposta di Coose è che le attività saranno integrate nell’impresa quando il costo per organizzare queste attività all’interno è inferiore al costo d’uso del mercato. Cioè un’impresa si integra quando i costi di coordinamento interno sono inferiori ai costi d’uso di mercato. Viceversa si ricorre al mercato quando i costi d’uso del mercato sono inferiori ai costi di coordinamento interno.
Un mercato funziona bene e i suoi costi sono inferiori ai costi di coordinamento interno quando i suoi prezzi non sono monopolistici e riflettono un accettabile prezzo di rischio e dove è possibile dal punto di vista tecnico ottenere tutte le economie di scala potenziali. Se viceversa i prezzi sono monopolistici, l’uso del mercato diventa sconveniente.
Ci si integra quando i costi d’uso di mercato sono alti, ci si disintegra quando sono bassi.
Il costo d’uso di mercato è collegato al comportamento degli attori del mercato. Uno dei comportamenti degli attori è la possibilità che qualcuno che fa parte della transazione abbia un comportamento opportunistico.
Un mercato funziona male se un attore protagonista adotta un comportamento opportunistico. È chiaro che in questo caso l’impresa tende ad integrarsi.

Tratto da ECONOMIA INDUSTRIALE di Valentina Minerva
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