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Gli interessi passivi: il pro-rata ordinario


In materia di interessi passivi, vi è un trittico di norme: la prima disciplina alla deducibilità degli interessi passivi in generale, mediante il cosiddetto pro-rata ordinario; la seconda disciplina il cosiddetto pro-rata patrimoniale, che una conseguenza della partecipation exemption; la terza, infine, contrasta la sottocapitalizzazione.
Le tre disposizioni limitano la deducibilità degli interessi passivi e devono essere applicate secondo un ordine predeterminato: dapprima, deve applicarsi la disposizione sulla sottocapitalizzazione, poi il pro-rata patrimoniale e, da ultimo, il pro-rata e ordinario.
Esaminiamo, innanzitutto il pro-rata ordinario: gli interessi passivi sono deducibili solo “per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.
La legge stabilisce poi, in misura dettagliata, quali siano i componenti positivi da considerare ai fini del calcolo della quota proporzionale di interessi deducibili.
Nel calcolo del pro-rata ordinario, non si tiene conto del regime di partecipation exemption e del regime di esclusione (per il 95%) previsto per i dividendi.
Per effetto di tale disposizione, dunque, le plusvalenze parzialmente esenti e i dividendi esclusi non influiscono negativamente sul “pro-rata ordinario”, riducendone la misura.
E ciò conferma che partecipation exemption non è un regime di favore, ma una modalità tecnica di eliminazione della doppia imposizione economica.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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