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La difficoltà di una tutela adeguata dei diritti soggettivi nel processo amministrativo



La vicenda degli “atti paritetici” riflette la difficoltà di una tutela adeguata dei diritti soggettivi nel processo amministrativo.
Il Consiglio di Stato attraverso la nozione di “atto paritetico” configurò un processo svincolato da un rigido modello impugnatorio e superò, per le vertenze concernenti diritto soggettivi non pregiudicati da provvedimenti, la necessità di proporre il ricorso entro termini di decadenza.
Tuttavia il termine per il ricorso non era l’unico elemento della disciplina del processo amministrativo che non risultava adeguato per la tutela dei diritti.
La disciplina positiva era carente anche per i contenuti e le possibilità della tutela cautelare, per la limitatezza dei mezzi istruttori, per le tipologie e i contenuti della sentenza.
Queste carenze condussero una parte della dottrina a valutare criticamente la devoluzione al giudice amministrativo delle vertenze su diritti.
All’esigenza di assicurare una tutela efficace dei diritti anche nella giurisdizione esclusiva ha dato una prima risposta la l. 205/2000.
Tale legge ha introdotto nel processo amministrativo i procedimenti d’ingiunzione, ha modificato la disciplina della tutela cautelare (sono ammessi ordini di pagamento di somme di denaro) e ha assegnato al giudice amministrativo, nelle vertenze devolute alla sua giurisdizione esclusiva, la possibilità di disporre tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, esclusi solo l’interrogatorio formale e il giuramento.
La riforma ha coinvolto anche la tipologia delle sentenze: oggi si devono ammettere con maggiore larghezza anche sentenze con contenuti diversi o ulteriori rispetto a quelle di annullamento.
In questo modo sembra trovare accoglimento il criterio secondo cui i diritti soggettivi si caratterizzano anche per una propria “identità” di tutela con la conseguenza che se siano assegnati alla giurisdizione esclusiva la loro tutela davanti al giudice amministrativo non deve essere qualitativamente inferiore a quella offerta dal giudice civile.
Queste innovazioni recenti non comportano, però, che nel giudizio amministrativo possano essere esperite, a tutela dei diritti, tutte le azioni ammesse dal codice di procedura civile.
La distanza rispetto agli strumenti per la tutela dei diritti nel processo civile è diminuita, ma non è stata annullata del tutto.
È opportuno ricordare però che l’assegnazione della tutela di un diritto al giudice amministrativo produce anche conseguenze importanti di ordine più generale.
In particolare comporta che l’ultima parola sull’interpretazione delle norme applicabili alla vertenza spetti al Consiglio di Stato, e non alla Cassazione: infatti il ricorso contro le decisioni del Consiglio di Stato alla Corte di Cassazione è ammesso solo per motivi di giurisdizione, e non per violazione di legge.
Di conseguenza, nel caso di ricorsi a tutela dei diritti soggettivi, sulle medesime disposizioni di legge si può formare una giurisprudenza amministrativa divergente da quella civile.
L’estensione della giurisdizione esclusiva incide pertanto anche sull’ambito del ruolo “normofilattico” della Cassazione: ciò sottolinea l’esigenza di un attento bilanciamento da parte del legislatore, tenuto conto anche del fatto che il ruolo “normofilattico” della Cassazione trova riconoscimento della Costituzione.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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