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La tutela cautelare il quadro normativo


La disciplina della tutela cautelare, nel processo amministrativo, è stata modellata sul giudizio d’impugnazione di provvedimenti: di conseguenza la tutela cautelare si è incentrata, fino ad epoca recente, nella sospensione del provvedimento impugnato.
Solo con la l. 205/2000 il legislatore ha considerato l’istituto in termini più generali ed ha introdotto una disciplina più coerente con la varietà di vertenze devolute al giudice amministrativo.
La legge Crispi del 1889 dettava la regola secondo cui l’impugnazione del provvedimento non ha “effetto sospensivo”.
Questa regola veniva ricondotta originariamente a principi assolutamente generali, come la gerarchia di valori fra l’interesse pubblico, che è a fondamento del potere amministrativo, e l’interesse privato, che è a fondamento del ricorso.
L’art. 39 t.u. Cons. St. ha confermato che “i ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo” e ha precisato che l’”esecuzione dell’atto” impugnato può essere sospesa dal giudice amministrativo “per gravi ragioni”, su richiesta del ricorrente.
Spetta quindi alla parte interessata richiedere l’intervento del giudice, per evitare che le sue ragioni possano essere compromesse prima della decisione del ricorso.
La domanda di una misura cautelare deve essere presentata dal ricorrente al giudice adito per il ricorso principale, con istanza scritta, che deve essere notificata all’Amministrazione resistente e agli “interessati”.
Questa previsione era interpretata, in passato, nel senso che non fosse necessaria la notifica a tutti i controinteressati.
Per questo profilo, l’assetto della procedura appariva incompatibile con i principi costituzionali sulla garanzia del contraddittorio.
Negli anni ’90, però, il Consiglio di Stato si è indirizzato nel senso che il giudice amministrativo possa provvedere definitivamente sull’istanza cautelare solo dopo l’integrazione del contraddittorio con tutte le parti necessarie del giudizio.
La richiesta di misura cautelare viene esaminata in camera di consiglio dal giudice amministrativo, decorsi almeno 10 giorni dalla notifica dell’istanza.
Sull’istanza cautelare il giudice amministrativo decide con ordinanza motivata.
In caso di estrema gravitò e urgenza, “tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio”, la misura cautelare può essere richiesta al Presidente del Tar o della sezione cui il ricorso principale sia stato assegnato, previa notifica della relativa istanza alle altre parti.
Il Presidente provvede con un decreto motivato che rimane efficace fino all’ordinanza del collegio, cui va sottoposta l’istanza cautelare nella prima camera di consiglio utile.
Anche in quest’ultimo caso, comunque, la tutela cautelare ha carattere incidentale e si svolge nell’ambito di un giudizio instaurato col ricorso principale: a differenza di quanto previsto nel processo civile, non è contemplata in generale una tutela cautelare precedente all’instaurazione del giudizio, neppure quando la controversia verta su diritti soggettivi.
Tuttavia l’esigenza di una tutela cautelare precedente all’instaurazione del giudizio di merito è stata affermata e di recente il codice dei contratti pubblici l’ha recepita per tutte le vertenze in materia di appalti pubblici.
La pronuncia sull’istanza cautelare deve essere sempre motivata.
L’obbligo di motivazione delle pronunce cautelari, benché sancito dalla legge, spesso non è rispettato.
La motivazione deve estendersi “alla valutazione del pregiudizio allegato” dalla parte istante (c.d. periculum in mora) e deve indicare “i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull’esito del ricorso” (c.d. fumus boni iuris).
Nel caso di rigetto dell’istanza cautelare il giudice può provvedere, in via provvisoria, sulle spese del procedimento cautelare.
In questo modo il legislatore ha inteso porre un rimedio al pericolo di un utilizzo improprio dello strumento dell’istanza cautelare.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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