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L’azione del cittadino e la giurisdizione del giudice


La complessità del riparto di giurisdizione rende però concreto il rischio che il cittadino promuova l’azione contro l’Amministrazione davanti a un giudice privo di giurisdizione per quella controversia.
In passato, l’errore sulla individuazione del giudice dotato di giurisdizione produceva molto spesso conseguenze irreparabili: una volta che il giudice adito avesse dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, la parte in teoria avrebbe potuto riproporre la domanda davanti al giudice dotato di giurisdizione, ma se nel frattempo fosse maturato un termine di decadenza, la nuova domanda sarebbe stata dichiarata certamente inammissibile.
In materia è intervenuta la Corte Costituzionale (con la sentenza 77/2007) e oggi il giudizio davanti al giudice dotato di giurisdizione può essere considerato come una prosecuzione del giudizio promosso inizialmente davanti al giudice privo di giurisdizione.
Di conseguenza, se il giudizio viene tempestivamente riassunto avanti al giudice competente, a carico della parte non matura alcuna decadenza e tutti gli effetti della domanda iniziale sono conservativi (c.d. translatio iudicii).
La Corte Costituzionale, anche in questo caso, si è richiamata agli artt. 24 e 111 cost., sostenendo che la pluralità delle giurisdizioni non può sacrificare il diritto della parte ad ottenere una decisione sul merito della sua pretesa.
L’art. 103 cost. richiama, oltre al Consiglio di Stato, “altri organi della giustizia amministrativa”.
La giurisdizione amministrativa “generale” non si esaurisce, nella Costituzione, nel Consiglio di Stato, ma include anche un giudice amministrativo “di primo grado” (art. 125 cost.), costituito poi nei Tar.
Il riferimento, nell’art. 125 cost., a “organi di giustizia amministrativa di primo grado” è all’origine dell’interpretazione secondo cui il doppio grado di giurisdizione sarebbe costituzionalizzato.
L’interpretazione dell’art. 125 cost. come norma che sancirebbe il principio del “doppio grado” sembrò essere accolta dalla Corte Costituzionale, la quale successivamente, però, è sembrata essersi orientata nel senso di una interpretazione più riduttiva: ha escluso che l’art. 125 cost. imponesse il principio del doppio grado nella giurisdizione amministrativa, ma ha dichiarato che la norma costituzionale imporrebbe solo di ammettere l’appellabilità delle sentenze dei Tar.
Il “raccordo” tra giurisdizione amministrativa e la giurisdizione ordinaria è assicurato, nell’art. 1118 cost., dalla previsione che contro le decisioni della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato sia ammesso il ricorso alla Corte di Cassazione “per motivi inerenti alla giurisdizione”.
Risalta anche la specificità del ruolo della Cassazione rispetto alla giurisdizione amministrativa.
Infatti, rispetto alle sentenze del Consiglio di Stato, la Corte di Cassazione può essere adita solo per “motivi inerenti alla giurisdizione”, mentre per le sentenze degli altri giudici speciali il ricorso alla Cassazione è ammesso anche “per violazione di legge”.
La distinzione sottolinea pertanto l’autonomia della giurisdizione amministrativa.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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