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Il problema del “silenzio” nel ricorso gerarchico


Uno dei temi centrali per lo studio nei ricorsi gerarchici è costituito dal tema del c.d. “silenzio”.
Carattere essenziale dei ricorsi amministrativi è la costituzione di un dovere di provvedere; si tratta però di capire che cosa si verifichi quando l’amministrazione non decida un ricorso.
Questa situazione è considerata oggi dal d.p.r. 1199/71: “decorso il termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso ordinario all’autorità giurisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della Repubblica”.
La questione del rilievo da riconoscere al “silenzio” su un ricorso gerarchico si impose praticamente subito dopo l’istituzione della Quarta sezione del Consiglio di Stato: se il ricorso alla Quarta sezione era ammesso solo contro un provvedimento definitivo, il “silenzio” poteva costituire per l’Amministrazione un comodo espediente per evitare il sindacato giurisdizionale sui propri atti.
La prima giurisprudenza della Quarta sezione prospettò la conclusione che, in concorso con altre circostanze (in particolare, in presenza di una diffida a provvedere notificata dal privato cittadino), il silenzio mantenuto su un ricorso gerarchico non precludesse la possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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