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L'osservazione partecipante in antropologia

Che cos’è l’osservazione partecipante? Si tratta di un principio che si fa risalire a Malinowski nel 1900 e ai suoi studi su isole lontane. L’osservatore partecipante, attraverso una pratica di ricerca intensiva, giunge ad entrare in stretto rapporto con i nativi, a capirne il punto di vista. Una prima questione di una notevole complessità è quella di come separare  il punto di vista dell’antropologo da quello degli indigeni, quando il processo di incontro fra antropologo e nativi cessa di essere basato su uno scambio tra l’osservatore soggetto e l’oggetto osservato per divenire un’interazione multiforme e molteplice fra soggetti.
Il principio dell’osservazione partecipante, nel suo ruolo di “perno” attorno al quale di fatto ruota l’intero processo di costruzione del sapere antropologico, pone molti problemi.
Ci si trova di fronte a una situazione che è potenzialmente contraddittoria. Da un lato infatti, si vuole che l’antropologo partecipi  alla vita del villaggio acquisti anche un sentire il più vicino possibile a quello degli indigeni, dall’altro, gli si chiede di mantenere il distacco necessario per essere in grado di annotare e valutare ciò che caratterizza quella data comunità come “diversa” dalle altre. L’etnografo si trova di fronte al cosiddetto “paradosso dell’osservatore partecipante”. Più egli si cala nella realtà locale, e acquista un modo di fare e di interpretare la realtà simile a coloro che deve studiare, più tali comportamenti e la relativa visione del mondo, gli sembreranno naturali e quindi difficili da annotare.
Una totale immedesimazione è impossibile, dunque pena il venir meno di quell’atteggiamento etnografico verso la cultura che è imposto all’antropologo appunto dalla sua professione e che lo allontana dai nativi. Si ripropone allora la questione della separazione dei punti di vista, questa volta, in termini di equilibrio. Equilibrio tra partecipante e osservatore, equilibrio fra specificità locale e categorie generali, fra pensiero indigeno e pensiero teorico, equilibrio fra riconoscimento e conoscenza, fra cultura come entità teorica e la cultura come fatto naturale. È necessario ripercorrere le dimensioni entro le quali si svolge il processo di costruzione del sapere antropologico tenendo in contro che non ci sono più osservatore e oggetto osservato ma 2 soggetti che interagiscono ciascuno legato + o – saldamente a uno specifico universo di riconoscimento ciascuno animato nell’interazione da un intenzionalità complessa.
-Esercizi di stile.
Il tema della distanza fra antropologo e nativi è strettamente connesso al tema dell’autorità dell’etnografo proprio perché meglio l’antropologo riuscirà nell’operazione di colmare mesta distanza maggiore sarà la sua autorità.
- Dimmi come vedi il mondo affinché io possa scriverlo.
Visione del mondo: ciò consente di impostare la questione dell’ incontro tra antropologo e informatore nei termini di rispettiva intenzionalità nei confronti del mondo, in termini piuttosto generali, vale a dire ridurre la questione non solo a un’interazione tra visioni del mondo ma un interazione tra obbiettivi e intenzionalità nell’ambito di differenti universi di riconoscimento in relazione a visioni del mondo tra cui esistono differenze individuali.
La difficoltà maggiore appare proprio nella ricerca di un nuovo equilibrio tra antropologo e nativo ciò potrebbe essere riformulato in termini di rapporto fra prassi antropologica e scientifica, dare legittimità formale alla prima conformandola ai processi della seconda significa perdere tutti gli elementi che ne costituiscono il senso. D’altra parte per l’antropologo lasciare sostegni epistemologici e scivolare sul terreno cognitivo linguistico del nativo equivale a rinunciare al proprio universo di riconoscimento , perdere la propria identità e smettere di essere antropologo.
Fino a che punto l’antropologia possa estendere il suo linguaggio specifico per rappresentare adeguatamente i concetti che i nativi hanno sviluppato e che esprimono il particolare rapporto fra intenzionalità, conoscenza, e visione del mondo. Probabilmente l’antropologia può riflettere  la visione del mondo delle persone che studia.
Ha un senso allora affermare che la ricerca antropologica deve procedere secondo un progetto teorico e conoscitivo, il quale deve a sua volta essere identificabile attraverso un’impalcatura epistemologica fatta di teorie, concetti, nozioni, ipotesi e dati, e di un vocabolario sulla base dei quali sia possibile confrontare e porre in relazione esperienze ed intenzionalità etnografiche ed esistenziali differenti.
L’antropologia deve essere considerata un sapere attraverso cui sia possibile percepire una visione del mondo che consenta di percepire tutti i possibili mondi culturali, di conoscere appunto, senza riconoscersi.

Tratto da ANTROPOLOGIA IN SETTE PAROLE CHIAVE di Selma Aslaoui
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