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Facoltatività dell’insegnamento della religione cattolica e collocazione oraria


La suddetta intesa ha sollevato varie difficoltà interpretative in ordine alle modalità attuative del libero esercizio della facoltà di scelta dell’insegnamento della religione cattolica, con particolare riferimento alla problematica concernente la frequenza per i non avvalentisi di attività di studio c.d. alternative.
La circolare ministeriale 302/86 dispose, al fine di “assicurare la fruizione di un eguale tempo scuola agli alunni”, che la frequenza alle attività alternative assumesse “carattere di obbligatorietà”.
Per effetto delle disposizioni ministeriali, dunque, l’insegnamento cattolico da facoltativo assunse i caratteri di opzionale, in quanto posto in alternativa ad altre attività didattiche, creando un chiaro contrasto con l’impianto complessivo delineato dall’art. 9 dell’Accordo di Villa Madama.
Tale questione è risultata pertanto oggetto di un serrato dibattito giurisprudenziale, che ha riguardato i temi della legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 7, 8 e 19 cost.
Nel primo di tali interventi la Corte Costituzionale ha rilevato come non contrasti con “il principio supremo della laicità dello Stato” l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, laddove quest’ultimo venga impartito in conseguenza di “un atto di libera scelta” individuale.
Per questo motivo, dunque, la previsione di un insegnamento alternativo obbligatorio “verrebbe a costituire condizionamento per quella libertà di coscienza, che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione”.
Il Ministero della Pubblica Istruzione, con le circolari 188/89 e 189/89, ha disposto quindi che i non avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica potessero scegliere se: frequentare attività didattiche e di formazione; svolgere individualmente attività di studio con l’assistenza di personale scolastico; o non dedicarsi ad alcuna attività, senza tuttavia potersi allontanare dalla scuola.
Tali previsioni hanno determinato un ulteriore intervento della Corte Costituzionale, che ha sottolineato come l’eventuale “minore impegno scolastico” di tali alunni non possa essere considerato “una causa di disincentivo per le future scelte degli avvalentisi”.
Pertanto, una volta assunta la decisione di non fruizione, “le varie forme di impegno scolastico presentate alla libera scelta dei non avvalentisi” possono anche comprendere la possibilità dell’allontanamento degli studenti dall’edificio scolastico.
Il Ministero della Pubblica Istruzione, con la circolare 9/91, ha stabilito pertanto le modalità attuative della suddetta riconosciuta possibilità, prevedendo tra le altre che l’insegnamento cattolico possa collocarsi anche in “ore intercalari”, senza necessità di un suo inserimento all’inizio o alla fine delle lezioni.
Nuovamente interpellata, la Corte Costituzionale ha affermato che le problematiche relative alla collocazione oraria dell’insegnamento della religione cattolica, “attenendo all’organizzazione didattica della scuola, non riguardano il giudice della costituzionalità”, né sono in alcun modo connesse con l’esercizio del diritto di libertà religiosa.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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