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Apertura e destinazione al culto


Permane invece un regime differenziato tra la chiesa cattolica e le altre confessioni per quanto concerne la tutela della destinazione al culto di tali luoghi sacri, posto che il legislatore statale ha espressamente rivolto in favore dei soli “edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico” (art. 8312 c.c.) la disciplina relativa alla conservazione della specifica destinazione di questi edifici.
L’impiego della formula suddetta, che si differenzia dall’espressione “edifici aperti al culto” utilizzata dalla normativa concordataria, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a ritenere che sia necessaria la verifica in concreto della sussistenza della “effettiva destinazione del culto pubblico dell’edificio”.
L’art. 8312 c.c. prevede che “gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartenenti a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che la riguardano”.
Tale fattispecie concerne anche l’ipotesi in cui l’edificio di culto appartenga ad un soggetto diverso da un ente ecclesiastico, quale un privato cittadino.
In questi casi, la destinazione all’esercizio pubblico del culto genera una limitazione del diritto di proprietà in capo al titolare.
Il diritto di proprietà torna ad assumere la massima espansione quando la destinazione al culto venga meno in conformità delle leggi in materia.
A riguardo, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti ritengono che detta previsione comporti un rinvio al diritto canonico ed, in particolare, ai cann. 1212 e 1222.
Tali disposizioni attribuiscono al Vescovo diocesano il potere di sottrarre, mediante proprio decreto, una chiesa al culto divino.
Per quanto concerne le confessioni acattoliche, ad oggi, solo gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico godono di un regime analogo a quello sopra descritto in favore della Chiesa cattolica.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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