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Le norme unilaterali del segreto dei ministri di culto


Quanto al regime comune il segreto dei ministri di culto trova, innanzitutto, tutela all’interno dell’art. 200 c.p.p.: “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria: i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”.
A tutela della funzione ministeriale svolta si riconosce, così, in capo ai ministri di culto delle confessioni religiose i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano il diritto di astenersi dal deporre.
Ciò non toglie, però, che qualora il giudice abbia “motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga”.
Il dettato dell’art. 200 c.p.p. trova poi applicazione anche in sede civile per effetto del rinvio operato dall’art. 249 c.p.c.
Quanto sin qui osservato va integrato con l’art. 622 c.p. ove si stabilisce che “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o d’ufficio, o della propria professione od arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad 1 anno o con la multa da lire sessantamila e un milione”.
Viene così condannata tanto la condotta di chi utilizza il segreto di cui è depositario a vantaggio suo o di terzi, quanto quella di chi rivela un’informazione riservata senza una giusta causa.
Il tutto senza che si configuri necessariamente un pregiudizio di natura patrimoniale.
Mentre l’art. 200 c.p.p. sancisce il diritto dei ministri di culto di astenersi dal deporre su quanto appreso in ragione del proprio ministero; l’art. 622 c.p. tutela il soggetto che si è confidato con il ministro stesso.
Conviene soffermarsi ancora un istante sulle norme appena citate per individuare la ratio sottesa all’istituto del segreto dei ministri di culto.
Alla necessità di tutelare la libertà religiosa del fedele che si affida al ministro di culto si aggiunge quella di quest’ultimo di vedere garantito il libero esercizio del proprio ministero; esigenza che si fa particolarmente pregnante quando il ministro di culto è tenuto al rispetto del segreto dall’ordinamento confessionale di appartenenza.
È ciò che avviene, ad esempio, con riferimento all’ordinamento canonico per quanto appreso dal sacerdote durante il sacramento della confessione; segreto rispetto al quale anche l’autorizzazione alla rivelazione data dal titolare dello stesso non è di per sé stessa sufficiente a legittimare la condotta del ministro di culto che in caso di violazione del sigillo sacramentale incorre nella scomunica.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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