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Libertà sindacale. Convenzioni internazionali e divieto atti discriminatori


La libertà sindacale nelle convenzioni internazionali
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro OIL  è stata fondata dopo la prima guerra mondiale poi inserita nell’ONU. Promuove il miglioramento delle condizioni dei lavoratori con accordi internazionali (convenzioni).
La convenzione 87 garantisce la libertà sindacale e precisa che le organizzazioni non possono essere sciolte o sospese.
La convenzione 98 stabilisce che i lavoratori devono essere protetti da discriminazione antisindacale da parte dei datori di lavoro. Così pure le associazioni stesse anche quando l’ingerenza venga da associazioni di datori di lavoro.
Entrambe le convenzioni sono state ratificate con legge.

Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali: libertà anche per il diritto allo sciopero.
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: diritto di associazione sindacale.
Carta sociale europea: principio di libertà dell’organizzazione sindacale, diritto alla contrattazione collettiva, diritto all’autotutela ivi compreso il diritto allo sciopero.

Queste fonti obbligano gli stati all’adeguamento del proprio ordinamento.
Il divieto di atti discriminatori
Lo Statuto dei lavoratori L.300/1970 è la fonte normativa interna e più incisiva.
Il titolo II è intitolato alla libertà sindacale. La legge aveva tre obiettivi:
tutela della libertà e dignità del lavoratore in rif. a situazioni repressive nell’impresa, come ad esempio l’uso della polizia privata, le perquisizioni personali, l’uso di strumenti per il controllo a distanza, l’esercizio del potere disciplinare, l’assunzione di informazioni sui lavoratori.
rafforzare la libertà sindacale vietando all’imprenditore l’uso di poteri che vengono dal contratto di lavoro per ostacolarla anche indirettamente.
politica di sostegno delle organizzazioni sindacali nell’attiva contestazione delle situazioni mutevoli.

L’art.14, ribadendo la libertà dell’art.39 Cost. specifica “nei luoghi di lavoro” quindi nei confronti dei datori di lavoro.
L’art.15 sancisce la nullità degli atti discriminatori (integrando la convenzione n.98).
E’ quindi nullo qualsiasi patto o atto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’associazione sindacale oppure che cessi di farne parte. C’è inoltre sanzione penale all’art. 38.
Inoltre al punto b è nullo qualsiasi atto o patto per licenziare, discriminare, assegnare qualifiche, mansioni, trasferimenti, provvedimenti disciplinari o recargli pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale o partecipazione ad uno sciopero.
Non c’è però la sanzione penale, solo la nullità.
La norma vale anche per discriminazioni politiche o religiose, razza, lingua o sesso.
Si amplia la norma “o a recargli altrimenti pregiudizio” per includere tutto.
Infatti la discriminazione sindacale si può avere anche quando il lavoratore è escluso da benefici anche economici dati invece agli altri che magari non si iscrivono a sindacati (art.16). Per benefici anche economici si intende ad es. ferie comunque valutabile in termini economici.
Ma la sanzione è in questo caso civile: accertati i fatti si condanna il datore di lavoro a versare al Fondo pensioni all’Inps l’importo illegittimo di un anno. Norma poco usata perché in effetti non si ha vantaggio patrimoniale dal denunciare ma solo più accorte ritorsioni.

Tratto da DIRITTO SINDACALE di Barbara Pavoni
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