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L’evoluzione dei criteri di legittimazione: dalla monarchia di diritto divino allo Stato di diritto


La legittimazione del potere esercitato da un monarca, o in rari casi da un governo aristocratico, derivava, almeno fino al XVIII secolo, dall’idea di un’origine provvidenziale dell’autorità politica, istituita da Dio per mantenere l’ordine, proteggere e propagare la vera fede e reprimere i malvagi.
Una precoce affermazione dell’assolutismo monarchico fu opera della Chiesa di Roma, con la sua struttura piramidale e accentrata, con la sua elaborazione di un corpus giuridico organico, di una simbologia e di un cerimoniale di corte e soprattutto l’unione nella stessa persona dell’autorità spirituale e della sovranità su uno stato territoriale.
La simbiosi tra autorità religiosa e potere secolare, rimase solida anche dopo la Riforma protestante, anzi, in alcuni casi si trasformò in una vera e propria subordinazione della Chiesa allo Stato (principati tedeschi e regni scandinavi).
La laicizzazione machiavellana della politica non poteva trovare accoglimento in un Europa divenuta oramai campo di battaglia tra fedi contrapposte.
Fu solo nel XVII secolo che i fondamenti religiosi della sovranità cominciarono a vacillare, soprattutto grazie agli sviluppi della dottrina contrattualista, poggiante a sua volta postulato dell’esistenza di un diritto di natura universale. Di queste leggi naturali, a cui tutti gli uomini sono soggetti, faceva parte il principio che un obbligo, per essere davvero vincolante, deve essere stato liberamente assunto dalle parti contraenti. Il passato dell’originario stato di natura alla vita associata, in cui gli uomini si riconoscono reciprocamente diritti e doveri, deve essere avvenuto sulla base di un patto comune, e la stessa origine contrattuale deve avere la delega dei poteri a un monarca. In base a queste premesse era possibile sia giustificare l’autorità assoluta del monarca, sia postulare l’esistenza di limiti e vincoli alla sua volontà, a seconda che la delega dei poteri fosse vista come totale o parziale.
THOMAS HOBBES  sostiene  che lo stato di natura si configura come una guerra incessante di tutti contro tutti, l’uomo è un essere amorale dominato dalla ricerca del proprio piacere. Per uscire da questa condizione di precarietà e di pericolo bisogna stipulare un patto in cui l’uomo rinuncia a tutti i diritti a favore di un potere supremo. Questa  è questa una visione rigorosamente materialistica e utilitaristica, che esclude del tutto la tradizionale legittimazione del potere in termini religiosi.
L’inglese JOHN LOCK  diede alla teoria contrattuale una decisiva svolta in senso liberale. Nei “Due trattati sul governo”,pubblicati nel 1690, egli sostiene che i diritti alla vita, alla libertà, e alla proprietà privata, sono anteriori al costituirsi della società, la loro tutela, quindi deve essere l’obiettivo principale del contratto che i sudditi stipulano con il sovrano. Il riconoscimento del potere legislativo ed esecutivo al monarca è condizionato al rispetto di questi diritti, e in caso di trasgressione i sudditi hanno il diritto di sollevarsi e deporre il sovrano.
Più larga influenza ebbero altre correnti, come la teorizzazione della monarchia temperata di modello inglese ad opera di Montesquieu e l’esaltazione del dispotismo illuminato di Voltaire. La concentrazione di tutti i poteri nelle mani di un monarca saggio ed illuminato si giustificava con l’esigenza di combattere i particolarismi e i privilegi di territori e di ceti: solo chi sta al di sopra di tutti può avere una chiara visione degli interessi generali, e agire efficacemente per il pubblico bene.

Tratto da STORIA MODERNA - 1492-1948 di Selma Aslaoui
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