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Obiettivo del lavoro dello psicologo clinico: portare ad accettare il cambiamento


La dimensione strana del nostro lavoro, se venite dietro al discorso che sto facendo è che l’unico vero errore è un errore riguardo all’etica non alle manovre, diciamo così procedurali e il problema dell’etica è il problema se il nostro fine è legato a ottenere degli effetti di separazione  sappiamo che non li otterremo tutti in una volta sappiamo che hanno un prezzo molto alto per il soggetto dunque non possiamo imporglieli
Ecco perché dico che siamo lo strumento, perché quello che avanziamo nella consultazione anche riguardo ai suoi fini che sono quelli che determinano la nostra etica non può non passare dal filtro che è la nostra capacità, la inflessione del nostro ascolto.
Come dicevamo all’inizio il nostro utente non viene con l’idea che lui vuole davvero cambiare tutto anzi l’idea di collusione in Carli ci dice benissimo quello che è il concetto freudiano su cui abbiamo insistito all’inizio nelle prime lezioni che in fondo il nostro paziente si aspetta che tutto resti tale e quale. È una manovra che potremmo dire gattopardesca, che cambi tutto perché tutto resti tale e quale.
Siamo noi che ci pigliamo il carico etico di accentuare di quello che ci sta portando convincentemente il nostro paziente non il lato ripetitivo ma il lato per cui nella ripetizione si insinua qualche cosa di nuovo e la cosa nuova che si insinua nella ripetizione del paziente, fondamentalmente? Il fatto che è lì a parlarcene, il fatto che è lì a parlarcene è la novità, cioè la novità siamo noi, ecco perché è così difficile la nostra posizione perché è un compito assolutamente impari.
Allora misurare questa sproporzione fra il compito impari del cambiamento e la nostra posizione che invece è per un qualche aspetto pari al cambiamento, quindi la sproporzione che noi stessi portiamo come divisione, è effettivamente l’oggetto della formazione. La formazione è non fare o imparare delle cose in modo che siamo più adeguati, ma che impariamo a sopportare la nostra inadeguatezza strutturale, perché noi  siamo su questo piano immaginario , ma non abbassando il tiro ma senza perdere di vista che comunque il punto a cui indichiamo il nostro paziente è un cambiamento strutturale di cui in qualche modo è capace e rispetto a cui noi lo sosteniamo.
Pensate a quanta parte della clinica è in fondo cercare di evitare il problema col paziente ma per un altro aspetto siamo invece strutturalmente nella sperequazione o se vogliamo nella dissimmetria rispetto a noi stessi.
Sentite  come in fondo è molto più nella dimensione relazionale passa attraverso mille altre cose, non soltanto da quello che noi diciamo, tanto che possiamo perfino pensare a una clinica che riduce quasi a zero il dire dell’operatore, perché il dire dell’operatore ha come unico senso, unico scopo il dire del paziente.
Non è in funzione delle intelligenti cose che noi diciamo al nostro paziente sotto l’idea che è una grande interpretazione, non è in quel senso. Il nostro lavoro è permettere che l’interpretazione sia del paziente e al massimo possiamo anche pensarci come quelli che non fanno altro che sottolineare “ah, ma oggi forse ha detto una cosa nuova” per dire che non si tratta noi di produrla la cosa nuova, si tratta di assicurare al paziente il luogo da cui potrà dire cose nuove e quindi anche in qualche modo sanzionarlo questo luogo.
Ci sono pazienti anche non così adolescenti che chiedono “ma mi dia del tu”. L’importante non è dargli del tu o del lei, l’importante è fargli sentire che quella lì è la cosa che decidono e perché?,
interrogarli sulla ragione per la quale uno a vent’anni, vuole che gli si dia del “tu”. Ma perché, giusto? Allora in fondo con questi esempi pratici abbiamo visto la utilità di pensare uno schema della relazione nel quale siano incluse almeno due dimensioni, quella immaginaria, in cui rispondiamo diciamo così specularmente al paziente secondo quello che vuole l’idea di collusione in Carli  e dunque benissimo lavoriamo nell’empatia, lavoriamo in tutte queste cose che lo fanno sentire più a suo agio, che si permettono di capire.

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