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Il potere del transfert

 
Ho fatto la distinzione tra l’essere chi risponde alla domanda ed essere gli operatori che rispondono della domanda; sentite che c’è la responsabilità di mezzo: rispondere della domanda di qualcuno significa che ci facciamo carico di quel qualcuno, e non degli oggetti in cui la sua domanda va a finire, che – ripeto – è sacrosanta cosa ma per i medici, gli assistenti sociali, altre figure professionali.
Noi siamo quelli che nella sostanziale frustrazione rispetto all’oggetto, rispondiamo invece della soggettoettività, rispondiamo del perché sta chiedendo proprio quello.
Maria Francesca chiede: che differenza fa per la mamma il parlare con noi e il parlare con un’amica? Marta dice: è probabile che l’amica risponda sull’oggetto, “prova a fare in questo modo”,ma m ettiamo che invece l’amica non dia consigli, che non risponda alla domanda, che resti lì ad ascoltare... mettiamo che l’amica sia illuminata Che differenza fa con noi? Se si tratta di lasciar parlare, che differenza c’è con l’amica, con il buon senso comune?
Lacan scrive un testo nel ’58, che resta un punto irrinunciabile della sua dottrina, che si intitola: La direzione della cura. Sottotitolo: i principi del suo potere .
La parola potere è ciò che connota la dimensione del transfert, la dimensione in base alla quale noi possiamo modificare qualcosa.
Mettiamo nella giusta connessione le due dimensioni:l’unica base operativa
che noi abbiamo, l’unico punto cui ci affidiamo come operatori è la domanda del soggetto, che ci arriva a noi comunque in maniera diversa – anche se magari le parole sono le stesse – che non all’amico.
Muoversi e andare da uno psicologo è molto diverso che telefonare all’amica.
A questa domanda diversa corrisponde in maniera diretta quello che noi chiamiamo transfert. Transfert che – lo vorrei notare – non è affatto nei termini della riproducibilità degli affetti che hanno legato il soggetto alle figure primitive eccetera di un certo tipo sulla persona dello psicologo.. neanche lo conosce!
Dunque tutto grava sulla domanda, in quanto lo psicologo, chiunque egli sia, io lo suppongo sapere, suppongo che alla mia questione possa dare una risposta diversa: più competente, più efficace... il transfert si può connotare in tutti i modi possibili: può essere che sia contenta che qualcuno mi stia ad ascoltare in silenzio, come invece posso volere che mi dia tutte le risposte del mondo, oppure che abbia lo studio qui e non là, che sia privato e non pubblico... metteteci tutta la gamma incredibile di variazioni soggettive che volete; il punto per cui la domanda si differenzia è che chiedo a qualcuno che suppongo avere una competenza che non è quella del buon senso
Dunque sto già riformulando il mio bisogno in altri termini. Ecco perché domanda e transfert sono strettamente collegati.
Occorre che sia messa in gioco questa complessità perché effettivamente la consultazione abbia luogo. La consultazione non ha luogo perché c’è un oggetto di cui occuparsi, perché la mamma ha un problema con il bambino da risolvere; la consultazione ha luogo perché la mamma ha già fatto una prima interpretazione della sua questione, in relazione al domandare a qualcuno che ne sa di più; non quantitativamente, ma in un modo diverso da quello che può dirmi l’amica.
Perché in fondo se chiedo all’amica resto dentro l’asse immaginario e dunque chiedo ancora a me stessa, o chiedo qualche aggiustamento...
Il transfert implica che io possa giocare qualcosa della mia immagine, ma in quanto c’è un luogo – quindi non qualcuno, ma un luogo – nel quale la questione si potrà riformulare.
C’è un transfert perché io suppongo che ne sappia. Non è che il transfert sia appannaggio
nostro; Freud lo dice a chiarissime lettere, è una relazione che connota
qualunque relazione umana. La differenza è l’uso che ne facciamo: L’amica, se vogliamo, normalmente risponde mentre un transfert nel senso pieno implica una sospensione della risposta, qualcosa che mette in gioco a pieno titolo il soggetto.

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