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Il calcolo dell'indennità attraverso le sentenze della Corte costituzionale

Riporto di seguito un elenco dei vari criteri di calcolo dell’indennità succedutisi nel tempo e delle varie visioni della Corte costituzionale al riguardo:

- La disciplina in materia era un tempo dettata dalla legge n. 2359/1865, chiamata “legge fondamentale”, che affermava il criterio del valore venale, in base al quale l’indennizzo era rappresentato dal valore di mercato del bene, cioè dal giusto prezzo che, secondo una valutazione effettuata da periti, avrebbe avuto l’immobile se fosse stato oggetto di un normale contratto di compravendita.
- In seguito, date le scarse risorse finanziarie disponibili, venne adottato un criterio più restrittivo per assegnare un’indennità ai soggetti espropriati. Nacque così, nel 1885, la “Legge Napoli”, che introdusse appunto un nuovo criterio, dato dalla media tra il valore di mercato o venale e l’insieme dei fitti (canoni di locazione) dell’ultimo decennio; nel caso in cui non fossero provati tali canoni di affitto, essi venivano sostituiti dai redditi imponibili catastali.

La sentenza 61/1957

- Con la sentenza 61/1957 della Corte Costituzionale, è stato affermato che “l’interpretazione letterale e, in un certo senso, meramente etimologica, del concetto dell’indennizzo, non può essere accolta. Essa prescinde del tutto dagli elementi storici e sistematici, che, invece, essenzialmente devono contribuire a determinarla e, soprattutto, difetta della necessaria considerazione dello sviluppo e della evoluzione che il concetto di indennizzo ha, via via, subito attraverso le varie leggi relative alla espropriazione per pubblica utilità; inoltre, la Corte ha affermato che il criterio del valore venale non ha carattere assoluto e che, infine, l’indennizzo va stabilito in base al rapporto tra il valore di mercato del bene e gli scopi di pubblica utilità, i quali devono essere conseguiti tramite un bilanciamento con l’interesse privato, ma restando, pur sempre, sovraordinati a questo.

La sentenza 67/1957

- Con sentenza 67/1957, la Corte affermò poi che l’espressione indennizzo, di cui all’art. 42 Cost., non va interpretato nel senso letterale ed etimologico della parola, ma solo come il massimo di contributo e di riparazione che, nell’ambito degli scopi d’interesse generale, la Pubblica Amministrazione può garantire all’interesse privato, secondo una valutazione che spetta al legislatore nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, affermando, quindi, la legittimità del criterio di determinazione dell’indennità di cui alla “Legge di Napoli”.
 - Successive sentenze hanno poi affermato che il potere discrezionale del legislatore nella determinazione dell’indennità è limitato dall’esigenza che l’indennizzo non sia irrisorio e che, la possibilità di corrispondere indennizzi diversi a seguito di espropriazione di beni identici è ammessa solo in presenza di differenziazioni improntate a ragionevolezza e giustizia sociale.

La sentenza 15/1976

- Con la sentenza 15/1976, poi, la Corte Costituzionale, ha sostenuto che l’indennità non deve corrispondere esattamente al valore economico del bene espropriato, ma deve assicurare un serio ristoro, anche parziale, purché non simbolico e che, i criteri di quantificazione di cui alla legge 2892/1885, sono legittimi in quanto garantiscono un indennizzo pari alla media tra valore venale e reddito imponibile catastale, il quale è solitamente superiore alla metà del valore catastale.
- Fu poi introdotto un altro metodo di calcolo dell’indennizzo, disciplinato dalla legge 865/1971 (Legge per la casa), modificata poi dalla legge n. 10/1977 (Legge Bucalossi): l’indennità veniva calcolata basandosi sul valore agricolo medio del suolo, calcolato in base al tipo di coltura ed alla regione agraria di appartenenza dell’immobile. Per le aree esterne ai centri abitati ci si basava sul valore agricolo medio della coltura in atto; per le aree interne, invece, si faceva riferimento al valore della coltura più redditizia moltiplicato per determinati coefficienti.

La sentenza 5/1980

- Con la sentenza 5/1980, significativa in quanto ha influito sulla successiva giurisprudenza e legislazione, si è avuta un’inversione di tendenza, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 16, quinto, sesto e settimo comma, e 20, della legge 865/1971, cioè dei criteri di determinazione dell’indennizzo previsti dalla “Legge per la casa”, negando appunto che il criterio del valore agricolo medio possa essere considerato conforme all’art. 42 Cost., terzo comma, in quanto “l’astrattezza del criterio adottato e la mancata considerazione delle caratteristiche del singolo bene da espropriare possono portare alla liquidazione di indennizzi irrisori e, comunque, gravemente sperequati rispetto al valore di mercato dei suoli, e possono condurre ad irragionevoli trattamenti differenziati di situazioni sostanzialmente omogenee, in quanto, a terreni in eguale situazione, per la loro destinazione edilizia, potrebbero essere attribuiti indennizzi diversi in relazione al maggiore o minore pregio delle zone agrarie ove sono posti, contrastando quindi con l’art. 3, comma primo, Cost.”.
Secondo la Corte, il valore agricolo medio, anche se aumentato con idonei coefficienti, non può rappresentare il valore di un terreno edificabile in un centro urbano.
L'indennizzo corrisposto al soggetto espropriato dall'art. 42, comma terzo, Cost., se non deve rappresentare una integrale riparazione per la perdita subita (in quanto occorre comunque coordinare il diritto del privato con l'interesse generale che l'espropriazione mira a realizzare) non può essere tuttavia fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro. Viene denunciata anche la violazione dell'art. 53 Cost., in quanto “la mancata rispondenza dell'indennizzo al valore del bene espropriato determinerebbe una irragionevole ripartizione nel costo della iniziativa assunta nell'interesse pubblico, facendone gravare il peso con una sorta di imposizione tributaria straordinaria, non ragguagliata alla capacità contributiva del soggetto su di un cittadino determinato e non su tutta la comunità interessata”.
Quindi, affinché il ristoro sia serio, “è criterio esatto calcolare l’indennità in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche essenziali ed alla sua destinazione economica, ivi compresa quella edilizia”.
E’ quindi inammissibile l’utilizzo di un criterio fondato su parametri generali ed astratti.
“Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all'espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene. Quindi, l'adozione del valore agricolo medio come criterio per la determinazione della misura dell'indennità di esproprio non è conforme al precetto dell'art. 42, comma terzo, Cost. Infatti, perché l'indennità di espropriazione possa ritenersi conforme al precetto costituzionale, è necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica perché solo in tal modo l'indennità stessa può costituire un serio ristoro per l'espropriato. E' palese la violazione di tale principio ove, per la determinazione dell'indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso. E’ proprio quanto avviene nella materia in disamina perché il criterio del valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria interessata, adottato per la determinazione dell'indennità di esproprio dall'art. 16 della legge n. 865 del 1971 come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, non facendo specifico riferimento al bene da espropriare ed al valore di esso secondo la sua destinazione economica, introduce un elemento di valutazione del tutto astratto, che porta inevitabilmente, per i terreni destinati ad insediamenti edilizi che non hanno alcuna relazione con le colture praticate nella zona, alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma costituzionale assicura all'espropriato. Meritevole di considerazione è pure un altro aspetto di incongruità del sistema, fonte pure esso di disparità di trattamento. L'art. 15 della legge n. 865/1971, come sostituito dall'art. 14 legge n. 10/1977, prevede che per i terreni agricoli l'indennità di esproprio sia fissata, sia pure a seguito di opposizione dell'interessato alla liquidazione dell'indennità in base al valore agricolo medio, con specifico riferimento alle colture effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in relazione all'esercizio dell'azienda agricola. Si stabilisce così l'esatto criterio che l'indennità va liquidata in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche e alla sua destinazione economica; l'aver pretermesso tali riferimenti per le aree con destinazione edilizia e adottato per queste criteri astratti e irrazionali, determina una ulteriore disparità di trattamento tra gli espropriati”.
- In attesa di una nuova regolamentazione della materia, fu approvata la legge 385/1980, detta “Legge tampone”, la quale reintroduceva provvisoriamente i criteri aboliti.

La sentenza 223/1983

- La nuova legge però tardò ad arrivare e la Corte Costituzionale, con la sentenza 223/1983, dichiarò incostituzionale anche la “Legge tampone”.
Tale legge, infatti, aveva reintrodotto provvisoriamente, fino all’emanazione di una successiva legge, i criteri di corresponsione dell’indennità di cui alla legge 865/1971, di cui già precedenti sentenze avevano dichiarato l’illegittimità.
Di conseguenza, l’indennizzo sulle aree edificabili ricominciò ad essere calcolato secondo i metodi della legge fondamentale del 1865.
- Una nuova modalità di determinazione dell’indennizzo per le aree edificabili fu introdotto dalla legge 359/1992 “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica”, che si rifaceva alla “Legge Napoli” del 1885, prevedendo tuttavia un’ulteriore riduzione del 40%.
Cioè l’indennizzo era pari alla semisomma del valore venale ed il valore della rendita catastale, il tutto però ridotto del 40%.
Di conseguenza l’indennizzo, che fino al 1992 era pari a circa il 50% del valore venale, scendeva al 30%.

La sentenza 283/1993

- La Corte Costituzionale, con la sentenza 283/1993, ha affermato la legittimità dell’indennità calcolata in base alla legge 359/1992, in quanto rappresenta il massimo contributo di riparazione che la Pubblica Amministrazione può garantire all’interesse privato nell’attuale situazione economico-finanziaria del Paese, ribadendo quanto detto nella sentenza 5/1980, in quanto l’indennità deve essere commisurata non ad un valore astratto, bensì, al valore effettivo del bene, in relazione alle caratteristiche essenziali di esso, e deve garantire un serio ristoro dato dal bilanciamento fra interessi pubblici e privati.

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