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Sottodeterminazione delle teorie rispetto ai dati osservativi


La seconda argomentazione afferma che i dati osservativi non determinano in maniera decisiva la teoria che corrisponde ad essi; c’è più di una teoria che può essere compatibile con gli stessi dati osservativi. Le teorie quindi sono “sottodeterminate”. Se abbiamo teorie diverse che salvano gli stessi dati sperimentali e che introducono termini teorici diversi, quale di queste teorie è quella vera e quali di questi termini teorici ha un corrispettivo effettivo con la realtà? Chi sostiene (Van Frassen, Quine) la sottodeterminazione delle teorie rispetto ai dati crea un problema enorme spiegabile in questo modo: se io ho una teoria T1 che salva i dati osservativi e all’interno della quale introduco un termine teorico “a” che non influisce in nessun modo con e ma anzi mi aiuta a spiegare alcuni fenomeni; poi formulo un’altra teoria, quindi anche T2 all’interno della quale introduco in termine teorico “non a” che mi spiega altri fenomeni ancora, anch’esso ininfluente su e, quindi anche in questo caso e è salvo. Mi troverò di fronte a due teorie che salvano entrambe i dati osservativi ma che addirittura sono una in contraddizione con l’altra. Quale delle sarà quella più vera? In fondo sono identiche! Quindi io potrei inserire tutti i termini teorici che voglio anche in contraddizione tra loro senza che questo intacchi la teoria. Ma un criterio del genere non mi torna molto utile nello scegliere tra una teoria e l’altra. In effetti però il vero problema non è proprio questo; questo tipo di problema potrebbe assumere una scarsa rilevanza. Le cose sono più complesse perché in effetti nella scienza contemporanea il principio di sottodeterminazione è applicabile dato che molte teorie salvano i fenomeni ma sono una in contrasto con l’altra e i dati non ci consentono di sceglierne una piuttosto che l’altra. Come facciamo allora a stabilire se i termini teorici che le teorie diverse introducono corrispondono a pezzi di mondo?
Come si fa a scegliere tra la meccanica quantistica e la meccanica bohmiana dal momento che esse hanno uno zoccolo duro comune ma introducono termini teorici differenti? Entrambe le impostazioni nonostante siano in grado di spiegare pezzi di mondo, risultano al loro interno fin troppo confusionarie e non in grado di ancorare neanche minimamente i loro termini teorici al mondo. Einstein a proposito della MQ affermava che essa fosse “incompleta” ma non nel senso di incompletezza caratteristico di tutte le teorie, quanto da un punto di vista strutturale; gli manca quella struttura solida che dovrebbe permettergli di stare in piedi e radicarsi anche solo in minima parte alla realtà. Ciò che si può fare è allora cercare di formulare una teoria T3 (è ciò che si auspica) in grado di superare i problemi di T1 e T2 non pretendendo di spiegare tutto, ma che sia in grado di stare in piedi superando quei limiti strutturali di T1 e T2 senza per questo essere una teoria definitiva.
La conclusione è allora(tranne che non si voglia giungere a forme di scetticismo che sfociano in un pessimismo radicale) quella di dover accettare di convivere con situazioni cognitive contraddittorie vedendo anzi in esse un motore che spinge verso una risoluzione che certo non sarà definitiva. Tendenzialmente quindi le sottodeterminazioni per il processo naturale della ricerca scientifica tendono a dissolversi.
Ci ritroviamo così con il compito arduo di stabilire di volta in volta la attualità dei singoli termini teorici a partire dalle teorie che li producono seguendo i due criteri fondamentali di realtà e invarianza.

Tratto da FILOSOFIA DELLA SCIENZA di Carlo Cilia
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