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Platone. Sapere e arte della misura nel "Politico"


Ed in questa linea nel suo dialogo intitolato Politico egli forgia una nuova figura di politico vero sulla falsa riga di quello della Repubblica: un uomo dotato di sapere e dell’arte della misura. L’esistenza di un uomo così rende inutile l’esistenza di un corpo di leggi. Le leggi infatti spesso non tengono conto delle diversità individuali dei cittadini; non saranno efficaci allora delle leggi universali, sarà più efficace la bravura di un politico in grado di intrecciare tra loro tutti i bisogni particolari della città. Il fatto è che, volendo essere realisti, è molto difficile che esista un politico così. Per tale ragione egli arriva nelle Leggi, sua ultima opera, ad affermare che è indispensabile un corpo di leggi, trasgredite le quali il cittadino deve necessariamente essere punito. Se i filosofo non è legittimato dai cittadini per ignoranza o volontà di potenza, quello deve essere sostituito da leggi impersonali. La famiglia e la proprietà privata possono essere riammesse. L’educazione dei piccoli, dopo i primi anni di vita, è comune e impartita dalla città. Il compito di difendere la città è ora compito di tutti i cittadini, dunque non più artigiani e guerrieri e filosofi. La Repubblica non si sofferma sulla religione, le Leggi invece la considerano fattore decisivo per la stabilità interna di una città. I riti e le credenze sono condizio sine qua non dell’esistenza stessa della città. Si delinea così nelle Leggi un governo teocratico che ha sullo sfondo la teologia e la cosmologia del Timeo.

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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