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Disputa tra Lanfranco e Berengario sul testo di Ambrogio


Inoltre L. fa notare che l’argomento di Berengario è posto in termini strettamente grammaticali e si allontana anni luce dal “mistero” che sta dietro l’eucaristia. Ad ogni modo L. rimprovera a Berengario anche il fatto che la sua argomentazione è fondata su un sillogismo errato in quanto nemmeno la prima premessa risulta essere universale (non ogni affermazione potrà sussistere privata di una sua parte questa è la premessa maggiore del sillogismo di Berengario). Rimane però aperto, nonostante la critica lanfranchiana a Berengario, il problema del significato che all’interno delle tesi ortodosse assumono i termini panis e vinum, cioè del tipo di sostanze che essi esprimono. Quello che viene fuori da questo confronto è l’importanza che L. dà al principio di non contraddizione. Quando infatti Berengario citando un testo di Ambrogio mette in luce come egli avesse affermato che al tempo stesso il pane e il vino si trasformano in vero corpo e vero sangue mantenendo le caratteristiche del pane e del vino, L. interviene sostenendo che Ambrogio sarebbe stato un pazzo se avesse inteso ciò che Berengario vuole tirar fuori dagli scritto del Padre della Chiesa. L. allora interpreta gli scritto di quest’ultimo in termini non contraddittori per cui sensibilmente il corpo e il sangue permangono, ma nell’essenza sono trasformati in vero corpo e vero sangue. Per L. allora il principio di non contraddizione è a pieno titolo da considerarsi un buon strumento per il dibattito teologico. Inoltre nei testi di L. non può sfuggire l’uso di una variegata e ricca terminologia riguardante il termine ratio e le sue forme.

Tratto da LA DOTTRINA DEI TEOLOGI di Carlo Cilia
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