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Conoscenza e rappresentazione in Schopenhauer



A fondamento della sua dottrina della conoscenza vi è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé anche se da di essi un’interpretazione originale: il fenomeno è parvenza e non apparenza (ciò che semplicemente appare) dunque assume un significato negativo. Il fenomeno è simile al velo di Maya di cui parla la filosofia indiana che copre la realtà, che è quella della cosa in sé. Il fenomeno allora non è come per Kant un punto di arrivo ma un punto di partenza per una maggiore e “vera” conoscenza della realtà. Il mondo come volontà e rappresentazione inizia con questa frase: Il mondo è una mia rappresentazione. La rappresentazione è il risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Nessuno dei due può stare senza l’altro. Il soggetto è ciò che tutto conosce, senza essere conosciuto da alcuno, ossia è ciò che non diventa mai oggetto della conoscenza. D’altra parte però il soggetto non ha motivo di esistere se non fosse che esiste un oggetto esterno ad esso che egli può conoscere; se non ci fosse un oggetto il soggetto non potrebbe conoscere nulla. Ma in tal caso non potrebbe definirsi neppure soggetto poiché si definisce soggetto ciò che ha la capacità di conoscere. Erroneamente di Schopenhauer il realismo fa derivare il soggetto dall’oggetto, ossia partendo da un dato materiale senza il quale il soggetto non può esistere; e altrettanto erroneamente l’idealismo risolve l’oggetto nel soggetto, considerando il primo una manifestazione del secondo. Ma in realtà né il soggetto può prevalere sull’oggetto né l’oggetto sul soggetto. La conoscenza è data dall’unione di entrambi.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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