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Morale in Fichte. Idealismo etico



L’opposizione tra Io e Non-io riguarda non solo l’ambito teoretico ma anche quello pratico. In questo caso però l’attenzione va posta nell’azione inversa, non quella del Non-io sull’Io (che nello sviluppo del discorso sembra all’inizio essere passivo) ma dell’Io sul Non-io ossia dell’Io come determinante il Non-io. Quest’azione dell’Io sul Non-io viene definita da Fichte come sforzo inteso come capacità del soggetto di opporre resistenza alla materia considerata come ciò che ostacola il soggetto nel raggiungimento di una purezza della volontà razionale. Il supremo valore morale per Fichte è allora la libertà. Tale libertà però non sarà mai definitivamente raggiunta poiché tutte le volte che l’Io vincerà sul Non-io inconsciamente ne creerà un altro. La morale di Fichte allora si racchiude in un’etica dell’azione; l’attività pratica diventa la “vera missione dell’uomo” superando in importanza quella teoretica: per questo motivo quello di Fichte è stato definito idealismo etico. È giusto notare però che non può esserci attività pratica senza che il soggetto determini se stesso e ciò che lo circonda per cui spesso l’importanza dell’azione dell’Io coincide con il valore pratico di un puro atto di pensiero. Da ciò deriva il suo concetto di male: esso non è un principio metafisico (mancanza del bene) ma è considerato almeno per il momento come una carenza di azione, ossia l’accidia. Nulla c’è di più spregevole che perdersi nel piacere fine a se stesso. All’etica illuministica fondata sulla felicità e sull’obbedienza alla natura, Fichte oppone un’etica del sacrificio.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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