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La temperanza


Il culmine della temperanza, nel mondo antico è poi la saggezza, per cui ci si può anche concedere la trasgressione perché si è talmente forti da poter tornare indietro.
Questa è dunque la dinamica di fondo attraverso cui viene a configurarsi il soggetto morale, che è padrone di sé. Padrone di sé nel senso che ha una certa competenza a padroneggiarsi, e quindi anche a vivere bene: ha un carattere (ethos) ben formato.
In fondo soltanto dei vecchi è la saggezza. I giovani possono essere più intelligenti dei vecchi, ma raramente essi sono più saggi, perché manca loro l’esperienza.
Ci deve essere una continuità di esperienza tra vecchi e giovani, nel senso che i vecchi devono consegnare la loro esperienza ai più giovani. Una delle ragioni più tragiche della perdita di qualità della vita contemporanea è stata la rottura totale tra vecchi e giovani, la continuità dell’esperienza è stata interrotta, dunque, ognuno deve cominciare da capo.
Un’altra cosa terribile è la progressiva diminuzione della possibilità di trasgredire, perché se non c’è più divieto non ci può essere nemmeno trasgressione. E in una società dove non c’è più nulla da trasgredire può succedere solo la perversione che porta alla distruzione. In tal senso la dimensione dell’interdetto è stimolante, mentre assecondare sempre il desiderio vuol dire viziare.
Le persone superficiali non entrano mai dentro se stesse, ma non vivono neanche bene, non valorizzano le loro possibilità, credono di vivere bene, perché vivono al basso, nel senso che c’è poca sofferenza in chi poco pretende. È necessaria invece anche un po’ di malinconia nel mondo, la malinconia bianca che creava i grandi pensatori, i grandi intellettuali che non si rassegnano di fronte a questo mondo così com’è, ma cercano di immaginare altri mondi possibili. Vivere bene vuol dunque dire essere capaci di malinconia, perché è questa la dimensione attraverso cui l’uomo cresce e si sviluppa.
Se siamo potenza finita e insieme desiderio infinito, il nostro completamento lo attingiamo nella corrispondenza con l’altro, nella reciproca donazione, perché se io mangio l’altro sono sempre più povero, se invece lo lascio essere per sé è sempre lì dinanzi a me come una risorsa.
La caratteristica del ricco è data dunque da due elementi: quello di non aver bisogno e quindi di governarsi e non dipendere, e nella capacità di dare perché, se il ricco tende ad accaparrare è povero di sé, chi non ha niente è immensamente ricco se ha la capacità di dare sé.

Tratto da GUIDA ALLA FORMAZIONE DEL CARATTERE di Anna Bosetti
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