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I vizi degli accordi procedimentali

I vizi degli accordi procedimentali


Nell'accordo endoprocedimentale è chiaro il collegamento di questo con il provvedimento autoritativo finale, conclusivo del procedimento: è il secondo in posizione servente rispetto il primo. Errore, violenza, dolo, entrano anche nel provvedimento amm., di cui l'accordo costituisce la determinazione del contenuto discrezionale. Nella stipulazione dell'accordo, il responsabile del procedimento può incorrere in vizi della volontà, quali l'errore e il dolo, riconducibili all'eccesso di potere dal momento che sempre la volontà dell'amm. agente è un agire funzionalizzato. Ma diversa soluzione si dovrebbe proporre per l'accordo stipulato, con reciproca intenzionalità, tra amm. ed amministrato in frode alla legge.
In entrambe le fattispecie, l'attività negoziata con l'accordo endoprocedimentale tra autorità procedente ed il soggetto privato è diretta alla predisposizione di un regolamento degli interessi, codificato nel provvedimento e finalizzato all'ostentazione di una apparente soluzione pattizia.
Solo quando la situazione viziante è limitabile alla sola amm. procedente, sarà possibile applicare con sufficiente sicurezza la tesi che consente l'assorbimento dei vizi della volontà nell'eccesso di potere: negli altri casi, la volontà viziata delle parti nell'accordo o quella del soggetto privato comporta una diversa invalidità che si riflette nel provvedimento finale, conclusivo del procedimento.

L'INOPPORTUNITA' QUALE INVALIDITA' DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO


Il legislatore ha affermato l'esistenza di una doverosità nella buona amministrazione: i criteri normativi dell'efficienza e dell'economicità traducono nell'attività amm. quel principio di buon andamento utile solo ai fini dell'organizzazione delle p.a.
Ottiene conferma la tesi di chi assumeva l'opportunità quale requisito fondamentale di tutti i provvedimenti amm. che sono validi in quanto anche opportuni, perché conformi all'interesse pubblico. 
La recente normativa supera la diatriba sull'individuazione dello stato viziante l'opportunità del provvedimento, ricercato o nella violazione di norme non giuridiche o nella violazione di un principio generale di buona amm., comunemente riconosciuto poi nel canone costituzionale del buon andamento.
L'imperativo categorico per l'amm. non è solo quello del provvedere in termini di legittimità, ma di perseguire i propri fini secondo un criterio di economicità ed efficienza: il provvedimento deve essere oltre che legittimo, anche opportuno.
Il nostro sistema prevede una numerosa serie di misure reattive contro il provvedimento invalido, in quanto inopportuno. Basti pensare a quei provvedimenti di secondo grado che, nel realizzare la revisione o il riesame di un provvedimento inopportuno, giungono alla revoca, all'annullamento o alla riforma del medesimo. Ancora, in sede di riesame giudiziale, l'annullamento o la riforma dell'atto inopportuno può essere ottenuta dal soggetto ricorrente tramite il ricorso (quello gerarchico...) previsto dalla giustizia amministrativa.
L'inopportunità ha il suo corrispondente stato invalidante nel merito di un provvedimento, atto da intendersi come espressione autoritativa, secondo le regole del giusto procedimento, dell'esercizio discrezionale di un potere amministrativo.  Fuori dai provvedimenti non è dunque riscontrabile questa forma patologica: l'esercizio vincolato di un potere, nel dar luogo ad atti, invece che a provvedimenti, impedisce all'amministrazione agente di ricercare l'opportunità ex lege assorbita nello schema legale predisposto dalla norma per l'attività amministrativa. Un certificato sarà inesatto o esatto, ma mai inopportuno!
Nel rapporto tra discrezionalità e merito si giocano le sorti del provvedimento invalido, in quanto inopportuno.

Tratto da DIRITTO AMMINISTRATIVO di Beatrice Cruccolini
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