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Definizione di paternità e maternità


È tollerato qualsiasi tipo di prova (si consente anche l'introduzione della prova dei gruppi sanguigni o del dna, ma la giurisprudenza è cauta nel riconoscerla: si riconosce solo in casi tassativi). La maternità è dimostrata provando l'identità di colui che si pretenda essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si assume essere madre. Per la paternità, al criterio generale che si basa sull'onere di fornire prova positiva, la legge aggiunge: non bastano né la dichiarazione della madre, né la sola esistenza di rapporti tra la madre e il presunto padre all'epoca del concepimento, ma può darsi con qualsiasi mezzo.
L'esistenza di situazioni come stupro, ratto, convivenza, possesso di status di figlio naturale, accertamento avvenuto con sentenza... hanno grande peso nel convincimento probatori, ma  la prova può essere data anche su altri presupposti.
La paternità o maternità naturali possono essere giudizialmente dichiarate solo nei casi in cui sarebbe ammesso il riconoscimento; le indagini sono vietate se tendono all'accertamento di una generazione incestuosa, fatta salva l'ipotesi di ratto o violenza carnale. Le azioni possono essere proseguite solo se subordinate all'interesse del minore, a condizione che non venga a turbare la qualità e gli equilibri raggiunti per conseguire un peggioramento senza motivi.
L'azione per ottenere l'accertamento può essere esercitata dal figlio senza limiti di tempo e dai discendenti entro 2 anni dalla morte o dal genitore o con il consenso del tutore. Se il figlio è maggiore di 16 anni deve esserci il suo consenso per iniziare o proseguire l'azione.
Il giudice, quando si vuole esperire l'azione deve valutarne l'ammissibilità e la fondatezza su interessi meritevoli (fumus boni iuris).

Tratto da DIRITTO DI FAMIGLIA di Beatrice Cruccolini
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