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Un ritorno alle origini della filosofia

Un ritorno alle origini della filosofia

I recenti studi e ritrovamenti della filosofia in quanto pratica clinica hanno voluto riproporla nel suo essere una possibile cura e quindi una liberazione dalla schiavitù dei molti vizi. La filosofia come modo di vivere si rende un'etica innanzitutto personale, il perseguimento di virtù che non temono di attraversare i vizi disvelandone non la loro miseria in astratto, ma piuttosto la scarsa utilità ai fini di un vivere meno doloroso.
Questa filosofia attua la virtù strada facendo, senza ergersi a supponente modello assoluto di moralità e cogliendo nelle cadute umane un incidente di percorso inevitabile che nuoce alla valorizzazione dell'individuo, poiché lo allontana dall'esercizio della consapevolezza di quel che sta facendo. La soglia del vizio andrà varcata, anche, purché la coscienza interiore –autoeducativa- non cessi di interrogarsi sul senso-non senso di quel che va facendo o ha fatto.
La filosofia appare come una terapeutica degli affanni, delle angosce e della miseria umana; miseria provocata dalle convenzioni e dalle costrizioni sociali (cinismo), dalla ricerca di falsi piaceri (epicureismo), dalla ricerca di piacere e interesse egoistico (storicismo), dalle false opinioni (scetticismo)… tutte queste filosofie pretendono di curare gli uomini modificando i loro giudizi di valore.
La terapia è una cura del pensiero che invita a produrne altro e altro ancora, sempre più raffinato. Ogni comunità può rendersi terapeutica se si adopera nel condividere la ricerca della verità all'insegna della tolleranza. Il soggetto esiste nella relazione, nella sua soggettività illusoria, nella sua singolarità radicale in cui si mette alla prova nella separazione che gli dà il piacere e la libertà di avvertirsi in assoluto responsabile delle proprie azioni (vita o morte).
La presa di coscienza diventa un processo pedagogico diretto a se stessi e autoregolato dalla volontà di raggiungere la perfezione del momento presente che è ben più del bilancio applicato ai vizi e alle virtù. E’ un mezzo per ristabilire la coscienza di sé, l'attenzione a sé, il potere della ragione. Perché saper vivere è godere del puro piacere di esistere astenendosi da ciò che annebbia la ragione, che impedisce di soffermarsi pacatamente sull'inquieto pensiero del dover morire.
I vizi veri, le passioni che intralciano, sono le deviazioni volontarie che non consentono alla mente di partecipare a un'esperienza cosmica o ciò che non le permette di espandersi di conoscere, conoscersi. Affidarsi ai sensi soltanto, con il rischio di disperdersi in essi, ostacolerebbe la missione della ragione, che sola può ricomprendere il sentire nel disegno complessivo, misterioso, dell'esistenza. Chi è riuscito a liberarsi dalla contesa tra i vizi e le virtù, non con un atto di rifiuto, ma di comprensione, è chiamata insegnarlo ad altri, non per via dotta, bensì attraverso l'esperienza del vivere in comune, nel piacere delle esperienze sensibili condivise.

Tratto da NUOVE VIRTÙ di Anna Bosetti
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