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Vir-tus, vir-tutis, un'altra visibilità


I vizi e le virtù, pur essendo oggetto improprio per la ricerca scientifica, sono intessuti di fenomenologia del sentire. L'impassibilità quanto l'espressione dei sentimenti connessi alle buone o alle male azioni sono segni spontanei, indizi, trucchi calcolati che denotano la natura falsa e bugiarda della coppia eterna.
Non si può dimenticare che la parola virtù deriva, più esplicitamente, dal sostantivo vir/i, l’uomo maschio nel pieno della sua maturità. Le virtù sono prerogativa maschile, ci rammenta l'origine latina dalla parola, e questo la dice lunga sulla loro primigenia virilistica attribuzione culturale e naturale. Fortezza, temperanza, magnanimità, saggezza e tante altre qualità morali, pur al femminile, sono indicate con un’inequivocabile assegnazione di genere.
Mulieritù. Le donne libere di alto ceto, nella cultura latina e poi in quella cristiana con la rivalutazione delle classi più umili, furono ritenute apportatrici di altre virtù: virginalità, pietà, verecondia, pudicizia, modestia, pazienza, capacità di mediazione e intercessione… queste si esprimono nelle opere cui loro sono affidate e relegate, in una divisione del lavoro, degli spazi, delle occupazioni protrattasi per secoli, che prevedeva nondimeno l'esercizio di virtù nelle arti amatorie, artistiche ed anche funzionali alla politica.
In un'assurda rifemminilizzazione della dizione virtù, occorrerebbe tornare indietro e definirle mulieritù. Tuttavia, resta il fatto che quelle manifestazioni viril-virtuose, ad esse interdette ufficialmente, non erano certamente estranee alle donne e nemmeno ne difettavano.
Occorre, tornando al presente, che le evocazioni virtuose o viziose siano rintracciabili ben oltre ogni semplicistica suddivisione di genere. Amore, coraggio, umiltà, pietà, cui vanno aggiunte le viziose virtù (il senso di incompletezza, la dipendenza, la paura, il rimpianto, l’illusione, la scrittura...), fanno parte costitutivamente in misura diversa, in forme culturali mutevoli, tanto dei modi di sentire, essere, fare, pensare maschili, quanto di quelli femminili nelle società cui apparteniamo.
In una selva di chiarori e oscurità sensitive. I vizi e le virtù, a prescindere da qualsiasi giudizio morale, a chi si occupa di filosofia dell'educazione non possono quindi presentarsi nel loro essere stati ed essere in primo luogo occasione pedagogica. Sia laddove qualcuno o qualcosa intenzionalmente ci ha condizionato, insegnandoci le arti della virtù o le vie del vizio, sia allorché i risultati lodevoli o riprovevoli non possano che essere addebitati al caso, al destino, alla provvidenza. Vizi e virtù, pur nelle loro distanze evidenti di carattere etico ed estetico, sono accomunati e attraversati dal motivo del sentire, appartengono alla contraddittorietà dei vissuti e delle percezioni attinenti la sfera dei sensi, del corpo, della fisicità.
Al sentire estremo appartengono tanto i vizi quanto le virtù: erroneamente quest’ultime vengono soltanto riferite a valori, a tonalità, a climi di tipo spirituale e non al demoniaco.

Tratto da NUOVE VIRTÙ di Anna Bosetti
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