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Il crocifisso risacralizzato


A voler dire qualcosa di giuridico su una sentenza che si avventura prevalentemente fuori dal seminato giuridico, si può cominciare da questo curioso ritorno dell’elemento maggioritario nell’interpretazione delle norme.
Nessuna considerazione del fatto che proprio in materia di fede appare inconcepibile e fu abbandonato per la prima volta, dopo la Riforma, il principio maggioritario, il quale urta contro il chiaro divieto posto in questa materia dall’art. 3 cost.
Il Consiglio di Stato, decidendo di stendere un velo sul percorso motivazionale del Tar e tuttavia di condividere la caratterizzazione religiosa del simbolo, è costretto ad apportarla non ad una religione secolarizzata, bensì a quella autentica e originaria, derivandone la legittimità dell’esposizione proprio dalla sua attitudine “ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa”, “la trascendente fondazione”, “l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, certamente laici, quantunque di origine religiosa”.
Il simbolo è religioso, ma anche la laicità al fondo lo è, perché i valori civili che la sostanziano sono laici, ma hanno un’origine religiosa e perciò ben possono essere simboleggiati dal crocifisso.
In questo scoperto gioco di parole c’è, come è stato giustamente osservato, “la più sprovvedutamente autorevole celebrazione del paradosso, dell’identità dei contrari”.
Si potrebbe obiettare che questo diretto richiamo religioso a fondamento e ragione dei valori civili è analogo a quello della sharī’a operato nelle dichiarazioni islamiche sui diritti fondamentali.
Ed in effetti quella del Consiglio di Stato è una laicità di tipo islamico, cha appare consentanea ai principi costituzionali dei Paesi islamici e che priva di giustificazione quelli della Turchia, che, con una situazione religiosa che rispecchia, rovesciata, quella italiana, fa divieto di esporre simboli di religione islamici negli spazi pubblici non solo ai pubblici poteri, ma finanche ai cittadini e, non di meno, ha superato più volte favorevolmente lo scrutinio della CEDU.
Né a diversa conclusione può portare la considerazione che tra le religioni del libro, quella cristiana risulta compatibile con la laicità, perché è comunque un’operazione anacronistica e astorica individuare nella Bibbia o in qualsivoglia libro sacro l’origine dei diritti fondamentali, come modernamente intesi (si pensi per tutte alla libertà religiosa “negativa”), perché essi “non nascono tutti in una volta”, ma soltanto quando nascono certi bisogni.
In definitiva, anche la sentenza del Consiglio di Stato tenta, come quella del Tar, di rompere il parallelismo delle due sentenze interpretative:
simbolo religioso = divieto di identificazione e, quindi, di esposizione (Cassazione);
simbolo universale = liceità di identificazione e, quindi, di esposizione (Consiglio di Stato).

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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