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L'insegnamento della religione islamica a scuola


Lo spazio è quello delle attività complementari, pur se a seguito di deliberazione degli organi scolastici collegiali e non (come invece garantito alle confessioni con intesa) a semplice richiesta degli studenti o dei loro genitori.
Ma la sua attivazione non esula dalla competenza dello Stato in materia scolastica e non abbisogna, quindi, necessariamente di un’intesa: ancorché questa sia stata la via finora battuta, evidentemente per opportunità politica, non si tratta qui di rapporti tra stato e confessioni ma di garanzie della libertà religiosa degli appartenenti a minoranze.
Semmai il problema è costituito dall’opposizione islamica a qualsiasi forma di ingerenza a richiesta sull’educazione e sulla formazione religiosa degli alunni musulmani.
Il divieto di ingerenza è formulato con una clausola mutuata dal diritto internazionale in materia di sovranità e giurisdizione esclusiva o, comunque, accessoria alla primarietà degli ordinamenti confessionali.
Nel contesto scolastico essa finisce per assicurare una protezione indiretta non solo della sovranità delle coscienze ma anche del diritto della confessione di svolgere l’opera educativa e formativa delle stesse in modo esclusivo.
L’astensione dall’interferenza con azioni dirette a condizionare le altrui scelte educative si risolve in una sorta di principio di autodeterminazione, inteso in senso negativo: obbligo di rispettare le libere scelte in tema di educazione.
Un’applicazione coerente di quella clausola comporta al limite la creazione nella scuola pubblica di “classi islamiche”, formate cioè esclusivamente da alunni appartenenti all’Islam, in cui si possa perseguire l’obiettivo di un insegnamento che, pur se conforme ai programmi ministeriali, rimanga “essenzialmente legato alla formazione di un vero credente, dalla scuola elementare fino all’università”.
Il principale motivo di contrasto è da individuare nella trama costituzionale dell’istruzione, improntata al pluralismo, che ha trovato un’applicazione specifica laddove, con riferimento all’insegnamento religioso cattolico, si è stabilito che il diritto degli studenti di scegliere se avvalersene o non avvalersene “non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi”: le quali, pertanto, non possono essere omogenee ma devono essere miste.
È questa norma positiva che osta alla formazione così di classi cattoliche come di classi islamiche, che si caratterizzerebbero per un’artificiosa omogeneità culturale venendosi a basare sulla scelta di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, sostituito con attività alternative riferite all’Islam.
Ques’ultima scelta è ben possibile secondo la regolamentazione vigente, ma a condizione che gli alunni non avvalentisi facciano classe con gli avvanetisi per il resto dell’orario scolastico, quello delle materie obbligatorie.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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