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L'educazione islamica nella scuola


Le ragioni ostative alla formazione di classi islamiche nella scuola pubblica non spiegano efficacia relativamente a scuole islamiche nelle quali legittimamente, e non diversamente da scuole gestite da altre confessioni, si propone un modello educativo integrale, che riguarda l’intera persona umana.
È ammissibile sottoporre queste scuole a limiti o controlli da parte dell’autorità statale?
In effetti, la mancanza di controlli è consentanea al principio costituzionale della libertà di insegnamento, che certo ha modo di operare pienamente soprattutto nella scuola pubblica ma anche nella scuola privata, ove è solo condizionata da un dovere di riserva o di silenzio su orientamenti culturali diversi dalla tendenza della scuola.
La libertà di insegnamento soffre solo dei limiti tecnici, dati dalle caratteristiche che tale attività deve avere per poter essere definita come insegnamento.
Il che esclude, come è noto, la libertà di propaganda o di proselitismo nella scuola pubblica.
Ma nella scuola privata il controllo sull’osservanza di questi limiti si scontra con la libertà della scuola d seguire la sua tendenza e, quindi, anche di fare proselitismo o opera di convincimento nei confronti di alunni che liberamente hanno scelto di aderire a quella scuole, consapevoli della sua tendenza culturale.
È da escludere che i programmi siano stabiliti dall’autorità statale sia pure d’intesa con il gestore privato.
Neppure si può ammettere un controllo metodologico: se il metodo non può che essere quello della ricerca rigorosa, non condizionata dai fini.
Peraltro, non mancano le tendenze ad un controllo collaterale anche dell’educazione islamica, da esercitare indirettamente attraverso il controllo dei luoghi di culto, delle moschee, che sono anche luoghi di istruzione e di trasmissione di identità globale alle nuove generazioni.
La rete delle moschee è utilizzata sicuramente anche dall’Islam per contrastare le prassi di adattamento ai costumi e al pensiero degli occidentali e non si può escludere che essa sia occasionalmente utilizzata perfino da fiancheggiatori di organizzazioni terroristiche.
Questo probabile aggancio, da investigare sul piano repressivo penale, si vorrebbe però porre alla base di un diritto ecclesiastico preventivo, indirizzato con un eccesso di potere legislativo verso la limitazione del diritto di aprire luoghi di culto.
Tale diritto rientra nella libertà di manifestare la propria religione.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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