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Una critica alle riproduzioni digitali di archivi e documenti

Una critica alle riproduzioni digitali di archivi e documenti


Anche per quanto riguarda i sistemi di digitalizzazione della documentazione, non si tratta di un processo di pura e semplice copiatura, quanto di campionatura, (processo dunque che può provocare la perdita o l’accrescimento di talune informazioni), ciò che ne risulta dovranno dunque essere definite metafonti. I risultati possono essere differenziati, a seconda del grado di usabilità da parte dello storico; Thaller distingue i prodotti in: illustrativi (se la loro qualità è sufficiente da permettere all’utente di decidere se vale la pena consultare l’originale), leggibile (se la loro qualità permette di accedere a tutta l’informazione dell’originale che il soggetto produttore voleva trasmettere), paleografici (se la loro qualità permette di accedere a tutte le informazioni dell’originale visibili a occhio nudo), migliorativi ( se la qualità permette di accedere a informazioni che dell’originale a occhio nudo non possono essere fruite).  Per quanto riguarda la critica alle fonti, ad un approccio, come quello positivista (che mirava ad estrarre dalle fonti, per lo più limitate alle testimonianze scritte, un certo numero di constatazioni fattuali, affidando la verifica dell’autenticità alle procedure della critica esterna, mentre la critica interna mirava a saggiare la credibilità di un documento, in quanto testimonianza dei fatti riportativi e prevedeva tre stadi: critica d’interpretazione- diretta a stabilire il significato letterale - la critica negativa della buona fede e dell’esattezza dell’autore - accertava in quale misura l’autore fosse degno di fede come testimone diretto degli eventi
- la determinazione di fatti particolari
- si confrontava la versione di un autore con altre versioni per vedere le eventuali coincidenze), se ne è sostituito un altro che sottolinea il ruolo fondamentale che, nella relazione storico/fonti e nella determinazione del contenuto informativo di queste ultime, giocano le domande, le ipotesi di ricerca.
Secondo quella che è stata definita la concezione dinamica delle fonti, ogni genere di fonte parla rispondendo alle domande poste dallo storico; le fonti non presentano un contenuto fattuale statico (come secondo le concezioni positiviste) e la loro ricchezza informativa no è intrinseca ma strettamente collegata all’uso che lo storico si propone di farne, dipende cioè dalla congruenza delle fonti con le ipotesi di ricerca. Nell’ambiente digitale dunque si dissolve definitivamente la distinzione fra critica interna ed esterna, così come era stata messa a punto nel corso del XIX secolo dalla storiografia positivista, anche per i caratteri peculiari dei documenti digitali stessi; un documento per poter assurgere a fonte storica non deve mutare nel corso del tempo, non deve essere soggetto a trasformazioni che non siano documentabili, e deve essere attribuito ad una persona o un’istituzione e soprattutto a un determinato contesto temporale (i documenti digitali sono invece immateriali, fluidi, fragili..). Inoltre l’autenticità di un documento, se prima era affidata alla sua conservazione fisica dell’originale, alla sua purezza, nell’ambito dei documenti digitali si parla di presunzione di autenticità, si enfatizza cioè la conservazione dell’autorevolezza del documento come strumento: un documento elettronico è considerato completo e non corrotto se il messaggio che intende comunicare per raggiungere il suo scopo risulta inalterato; ciò significa che la sua integrità fisica può essere compromessa purché venga assicurata l’articolazione del documento e gli elementi della sua forma documentaria rimangano i medesimi.


Tratto da GLI ARCHIVI TRA PASSATO E PRESENTE di Alessia Muliere
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