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La collezione di Stefano Borgia


Dalle tracce fornite dai carteggi si è potuto notare che tra i corrispondenti di Lanzi spicca il nome di Stefano Borgia, una delle personalità più in vista della cultura romana dell’ultimo quarto del secolo; scriveva a Borgia il suo riconoscimento per il decennio passato a Roma e il cui frutto principale rimaneva il Saggio di lingua etrusca pubblicato nel 1789 (saggio che gli valse il riconoscimento del più dotto conoscitore delle civiltà paleo italiche). Borgia fu promotore di studi e collezionista, appassionato di storia delle religioni, lingue e arti e raccolse nel suo palazzo di Velletri, a partire dal 1764, un museo in cui convivevano opere figurative e preziosi manoscritti orientali. La collezione Borgia e la sua sensibilità meritano dunque un’attenzione particolare nel cercare di comprendere quali fossero le spinte e gli stimoli per una nuova considerazione delle opere figurative, antiche e moderne, della pittura in particolare (considerata accanto alle lingue l’espressione più significativa di popoli e culture) del metodo e della storia. Si trattava di una collezione costruita secondo coordinate di storia comparata dei popoli, delle religioni, delle lingue e delle arti che intendeva offrire un’eloquente dimostrazione visiva dell’origine comune di mitologia e iconografia religiosa. La lungimiranza collezionistica di Stefano Borgia non era finalizzata alla raccolta di oggetti che esaltavano il "bello" - come il Winckelmann aveva iniziato a teorizzare qualche anno prima - ma ad avere pezzi rappresentativi delle diverse culture, documenti per sapere tutto di tutto, e contribuendo al recupero settecentesco di epoche come il Medioevo. I materiali archeologici vengono dunque raccolti dal cardinale non tanto in base a criteri estetici, ma privilegiando il loro apporto a una conoscenza più approfondita del mondo antico, sull'iconografia e l'interpretazione dei singoli pezzi. Il collezionismo del Borgia si dimostra aggiornato sulle ricerche più avanzate del tempo, in cui le opere sono accompagnate per la prima volta nella storia dell'antiquaria dalle indicazioni dei luoghi di provenienza. Nel 1784 Stefano Borgia avvia, grazie alla collaborazione di Lanzi, una campagna di catalogazione della sua ormai vasta collezione con indicazioni circa la data di ingresso, il luogo di provenienza, utili informazioni seguite spesso dalla documentazione visiva dell’epoca (per lo più disegni e incisioni).
Nell’inventario dei beni del cardinale, redatto nel 1814 in previsione della vendita a Gioacchino Murat, l’enorme messe di oggetti è ripartita in classi d’appartenenza, secondo l’attitudine classificatoria degli intellettuali educati ai principi del rigore e dell’ordine. La divisione per classi geografiche si accompagnava ad una grande libertà cronologica. Tra gli oggetti più preziosi della collezione, oggetti d’arte egiziana ma anche monumenti d’arte cristiana, greca, etrusca. La classe etrusca era affidata agli studi e alle cure di Lanzi e doveva soprattutto testimoniare della lingua etrusca. La classe cristiana, il cosiddetto museo sacro, con le pitture medioevali e bizantine e le varie antichità cristiane, costituiva l’ultima sezione della collezione Borgia. Non si trattava solo di dipinti, sculture, miniature e iscrizioni, ma anche di oggetti liturgici, tavole antiche, smalti, vetri, oreficeria, avori… sono i tesori che il cardinale raccolse, ispirato forse dal Museo Cristiano in Vaticano, fondato a metà degli anni ‘50 ad opera di Benedetto XIV. Accostando tra loro oggetti ed opere d’arte provenienti dalle più lontane parti del mondo, e dalle più diverse culture, il cardinale Borgia metteva in mostra l’aspirazione della chiesa all’universalità; Il messaggio di Stefano Borgia non poteva essere più chiaro: necessaria alle missioni cristiane era prima di tutto la conoscenza dell’altro, della sua cultura, dei suoi costumi. Sembra dunque prevalere una sorta di concezione antropologica dell’antichità e del Medioevo, che si traduce in una scoperta globale di una civiltà, di cui occorreva ricostruire tutti i tasselli con ogni testimonianza possibile. Questa chiave di accesso “antropologica” al Medioevo conduceva ad una nuova considerazione delle testimonianze figurative; le descrizioni dei musei sacri contenute nei taccuini di viaggio di Lanzi costituiscono un’ulteriore dimostrazione dell’importanza di tali collezioni nel recupero della pittura medioevale.

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